Sulle cime dal verde cappello

di Francesco Lamo

Spiz di Lagunàz, foto di Ettore de Biasio

Luglio 2005: si presenta l’opportunità di tentare il famoso diedro Casarotto-Radin allo Spiz di Lagunaz, nelle Pale di San Lucano. Il tempo è abbastanza stabile, l’allenamento è buono ed i compagni di cordata svitati non mancano: Enrico e Corrado. Sono entrambi due testoni. Il primo, davvero un gran zuccone, nativo nella bassa padovana, si è trasferito a Venezia, per amore di Maria e per lavoro: ora ha tre splendide bambine.   Il secondo, canottiere agonista e cocciuto come una capra, dalla periferia di Padova ha scelto di vivere nella Valle del Vanoi con Elisa, prima allevando capre in malga e vendendo il loro latte speciale e successivamente riuscendo a costruire un caseificio e a produrre dell’ottimo formaggio. Anche Corrado da poco è diventato padre.

L’unico inconveniente è che devo “boicottare” la cena conclusiva del corso roccia prevista, da mesi, nella serata del sabato. Ma la giustificazione che tento di dare a me stesso, prima che agli amici della Scuola, è nobile e a volte i treni passano una volta sola ed è meglio non farseli scappare. Ma mi sento un po’ incoerente ed egoista. Sono un egoista.

L’itinerario venne salito per la prima volta nel giugno 1975 in quattro giorni da Renato Casarotto e Piero Radin, raggiungendo l’attacco attraverso un percorso alquanto laborioso dalla Quarta Pala, anche in discesa. Arrivati in cima i due vicentini decisero di scendere direttamente verso il Boràl di Lagunaz dall’intaglio tra Spiz e Torre di Lagunaz fin giù in Valle, ricorrendo anche a giunzioni di corde e conseguentemente con perdita di materiale. A quei tempi e a quelle condizioni un’odissea.

Nel pomeriggio del venerdi salgo in macchina per la val Cordevole con Enrico, mentre l’incontro con Corrado, che sale da Fiera di Primiero, avviene ad Agordo.

Siamo euforici: le Pale di San Lucano, ancora incendiate di sole, ci aspettano.

Trascorriamo la serata ad ingozzarci di pizza e a bere birra in Valle, come festeggianti alla conclusione della salita. Dopo cena prepariamo solo due zaini in modo che i secondi di cordata scalino carichi, mentre il primo possa restare libero da pesi ed ingombri aggiuntivi. Sono sempre stato favorevole alla cordata da tre componenti, per salite complicate e lunghe, rispetto a quella da due: oltre al vantaggio di ripartire meglio i carichi, risultano minori le lunghezze di corda che ognuno deve percorrere da primo di cordata, si riduce l’eventuale impegno di un autosoccorso, diminuisce l’impegno psicologico complessivo e, particolare non secondario, il secondo di cordata che non è impegnato ad assicurare può mangiare, bere e fare fotografie.

Per dormire, con Enrico ci sistemiamo come dei Papi nel divano dell’affascinante Baita del Tita, posta sulla strada ed alla base della Terza Pala di San Lucano. Corrado invece, da vero montanaro, si sistema con l’amaca nel bosco dietro alla baita, rifiutando le comodità della casera.

La sveglia suona alle quattro del mattino e, dopo aver consumato il rito del caffè, ci ritroviamo già subito sudati sul lungo andirivieni che permette di salire alla banca della trevisana e poi alla base dello Spiz di Lagunaz. L’ambiente è splendido e silenzioso, nessuno ci rincorre e troviamo anche il tempo per sostare e mangiare una succosa pesca in contemplazione dell’Agnèr e dei suoi satelliti. Fa sorridere definire satelliti cime come lo Spiz Nord o lo Spiz della Lastia, che presentano pareti di 800 metri di dislivello.

La vista dell’architettura singolare e strapiombante della via dei Bellunesi (Miotto, Bee e Gava) incute timore al solo pensiero di trovarci lassù appesi: immense lame sospese sembrano pronte a precipitare se sollecitate. Che vione deve essere!

il primo tiro impegnativo

Giunti all’attacco, saliamo le prime lunghezze della via su rampe e placchette assolutamente non banali, superando poi dei diedri più impegnativi ed atletici. Siamo finalmente alla base dei tre tiri più difficili. Il primo, forse il più fotografato, mi emoziona e mi impegna molto: l’avevo sicuramente sottovalutato scrutandolo nelle immagini del libro di Ettore De Biasio sulle Pale. Sulla seconda lunghezza dura, dove conduce Corrado, assistiamo ad un notevole volo del capocordata: “volevo passare in libera accidenti, è stato Manolo che mi ha fatto capire l’importanza…ma si è rotto un appiglio. Lo giuro, non ero stanco!”, cosi recita il Corrado. Ma nessuno di noi aveva pensato che Corrado avesse mollato l’appiglio!

Il terzo tiro ci fa transitare attraverso il mitico chiodone di Casarotto (lungo chiodo artigianale mezzo dentro e mezzo fuori, che si individua già dalle lunghezze precedenti), che tento -inutilmente- di togliere come ricordo. Giungiamo così alla base del diedro vero e proprio: siamo davvero estasiati dall’eccezionale architettura di questa celebre via. Penso di non aver mai visto un grande diedro così perfetto e regolare come questo. Spettacolare!

Dopo aver bevuto a canna, affrontiamo il diedro che obbliga sempre a restare con una gamba a sinistra ed una a destra della fessura. Un vero, immenso, diedro regolare. Al confronto del diedro Philipp questo sembra disegnato con la stecca! Una stecca di 350 metri. Quando, stanchi di restare con i piedi in opposizione, tentiamo di spostarci con entrambi gli arti inferiori completamente a destra o a sinistra della linea del diedro ci rendiamo conto che la tattica non risulta mai conveniente: bisogna restare sempre in opposizione. Incredibile… mai vista una struttura di queste dimensioni e con una tale regolarità. Così facendo però i polpacci restano sempre in carico e risultano doloranti.

in vista del diedro

Lunghezza dopo lunghezza (è impossibile sbagliare via…basta seguire la fessura) saliamo estasiati e al calare del sole giungiamo alla cengia fuori dalle difficoltà. Siamo soddisfatti e un po’ su di giri.

Corrado sistema i sassi del fondo del bivacco; Enrico corre per la cengia per cercare linea al suo cellulare e parlare con le sue bambine; io, sdraiato e contemplante, mi godo una sigaretta. Questa è vita! E’ inutile cercare la serenità altrove: è qui.

La notte scorre tranquilla pronunciando le solite boiate, senza freddo né tensioni: il clima è tiepido, la cima è vicina ed il percorso per raggiungerla ormai facile. Alle sette del giorno dopo siamo sulla cima dello Spiz ed iniziamo così la contorta discesa che dopo una serie di aeree corde doppie ci obbliga a scavalcare la Torre di Lagunaz.

All’ultima doppia della Torre di Lagunaz scorgo un’escursionista con il suo cane sui verdi e fioriti prati alla base. Lo raggiungo e lo riconosco: è Ettore, l’autore del libro capolavoro sulle Pale di san Lucano. Immediatamente percepisco la serenità che si porta dentro: le sue parole misurate, il tono pacato ma deciso della sua voce, il modo con cui cammina mi trasmettono fiducia e sincerità, anche se emerge una chiara determinazione nelle sue azioni. Ci offre generosamente un sorso della sua borraccia: acqua mescolata con succo di sambuco. Con rispetto quasi reverenziale, ma con una gran sete, accettiamo. Non ho mai bevuto niente di così dissetante e rinfrescante. E’ vero che a volte basta un bicchiere d’acqua per sentirsi bene ed essere contenti. Basta poco, come canta Vasco.

il lupo di Ettore

Scendiamo a valle e ci ossigeniamo per il lungo sentiero panoramico che scavalca il Passo del Chiodo, forcella della Besauzega, malga d’Ambrosogn e poi conduce a Pradimezzo. Ci accoglie inaspettatamente Silvio, fratello di Ettore, il quale premurosamente versa nei bicchieri, proprio lungo la strada e con straordinaria semplicità, una rinfrescante ‘Moretti’ per tutti: sono allibito dalla serenità di queste persone, che conosciamo appena, e dal senso profondo di accoglienza. Facciamo conoscenza anche di Luca, noto esploratore ed alpinista nonché editore di accuratissime, quasi poetiche, monografie delle Dolomiti.

Arrivati alla panchina in legno a Cencenighe ci sbraghiamo e riusciamo pure a trovare un passaggio in macchina fino alla Valle di San Lucano, dove avevamo parcheggiato.

“Cosa avete combinato?” chiede il conducente dall’occhio vispo.

“Il diedro Casarotto-Radin allo Spiz”, rispondiamo.

“Bravi bravi”, dice lui.

Capiamo che deve saperla lunga. Arrivati in Valle lo salutiamo: “ciao, piacere Enrico, Corrado, Francesco”.

“Piacere mio”, fa lui, “Eugenio Bièn”.

Dopo un’altra birra rinfrescante, ripartiamo verso casa con le note di Father’s shout dei Pink Floyd: siamo strafelici.

A volte per essere felici si può fare di tutto. Eppure, spesso, basta un niente.

Francesco Lamo è dottore forestale e professionalmente si occupa di agricoltura ambientale e di agricoltura di montagna. Vive nella campagna padovana con Elisa, Francesca, Matilde e Kory, un simpatico Border collie che adora camminare per sentieri. Prima che di alpinismo, è soprattutto appassionato di montagna, in particolare quella bellunese e vicentina. Di passaggio sulla nord-ovest della Civetta, attraverso i percorsi meno difficili, ha scoperto la parete da sogno.
Con Marco, Enrico, Raffaele, Walter, Ivo, Stefano, Cristiano, Michele e altri Amici ha trascorso giornate che non si dimenticano.

testo e foto sono dell’autore

Alpine Sketches © 2011