Lo Zen e l’arte di scalare le montagne

Note di Alberto Paleari riguardo il libro di Luigi Mario.

Luigi Mario

Ho conosciuto Gigi Mario (il diminutivo non è irrispettoso perché così egli viene da sempre chiamato tra le guide alpine e nell’ambiente della montagna) nel 1974, al corso in cui divenni aspirante guida (allora portatore alpino) dove fu mio istruttore. Per il rispetto e la considerazione di cui godeva presso gli altri istruttori e gli allievi pensai che fosse un veterano, invece seppi poi che quella era la prima volta che faceva l’istruttore, e che era diventato guida alpina solo quattro anni prima. Tre anni dopo, quando lo ritrovai al corso in cui fui nominato a mia volta guida alpina, Gigi era diventato il direttore del corso e il presidente della commissione tecnica nazionale delle guide alpine.

Ora bisogna sapere che tra le guide alpine il rispetto e la considerazione si guadagnano prima di tutto sul campo, cioè in montagna, arrampicando, e in quel corso del 1974, passato tra la Marmolada e Misurina, tutti i partecipanti, istruttori e allievi, ebbero modo di vedere che questa guida dell’Appennino, anzi “de Roma”, in arrampicata era sicuramente fra i tre o quattro migliori lì presenti.

Però ci accorgemmo anche subito che Gigi Mario non era come tutte le altre guide alpine: prima di tutto perché aveva i capelli rasati, che, se ora è abbastanza comune tra gli sportivi, nel 1974 era una novità, poi perché a pranzo lo vedevamo sedere al tavolo degli istruttori con la giovane moglie giapponese, che teneva a sua volta in braccio una figlioletta ancora in fasce. In seguito (dal 1982 al 2012) sono stato anch’io istruttore delle guide alpine e in tutti quegli anni non ho mai visto un altro istruttore portare con sé, ai corsi di formazione, la moglie e i figli. Ma penso che solo Kiyoka, così si chiama la moglie di Gigi Mario, forse in quanto giapponese ed educata i modo molto diverso da noi, potesse avere la discrezione, la capacità di esserci senza far pesare di esserci, di essere accettata in un mondo, quello delle guide alpine del 1974, che più diverso del suo e a lei inaccessibile non poteva esserci. Conoscendo poi Gigi Mario e leggendo in seguito i suoi notiziari e gli altri suoi scritti che qui sono raccolti, ho poi capito che la piccola famiglia costituita da lui, Kiyoka e i figli, Lea e poco dopo Alvise, in quegli anni viveva in modo tale che Kiyoka non poteva restare a casa da sola, prima con uno, poi con due figli piccoli, perché la loro era una famiglia di pionieri che si era stabilita in cima a una collina dell’Umbria, in un cascinale che allora era poco più di un rudere, senza acqua corrente né elettricità, lontano dai centri abitati e da ogni comodità e aiuto possibile in caso di emergenza.

Noi allievi venimmo poi a sapere che Gigi Mario aveva i capelli rasati perché era un monaco Zen, e subito qualcuno lo chiamò ironicamente: “ Il bonzo”. Ce n’era già abbastanza per diventare leggendari tra quella cinquantina di alpinisti provenienti da tutte le località delle Alpi, in più bisogna però aggiungere che ci accorgemmo presto che questa guida alpina, de Roma, fortissimo arrampicatore, monaco ma sposato e con una figlia, dai discorsi che faceva era anche comunista. Ciò a molti piacque, a molti sicuramente non piacque, credo che nessuno rimase indifferente, ma Gigi Mario andò avanti diritto per la sua strada, operando, tra la metà degli anni ’70 e la metà degli ’80 una vera e propria rivoluzione dei corsi di formazione, del mondo delle guide, del modo di fare la guida alpina, e, quello che più conta, della coscienza di molte guide.Dal 1982, quando una parola di incoraggiamento di Gigi Mario bastò a cambiare la mia vita, e decisi di fare la guida a tempo pieno e, anche col suo aiuto, divenni istruttore delle guide, ebbi allora modo di conoscerlo meglio, di diventarne amico ( dico questa parola con pudore perché ancora oggi, dopo più di quarant’anni, e avendo fatto strade diverse, per me Gigi Mario è sì un amico, ma soprattutto è ancora un Maestro) e sostenitore della sua politica all’interno dei corsi guide, ma per una deformazione, o meglio deformità del mio animo, tragicamente laico e, non so come dire, materialista, non lo seguii nell’adesione al Buddismo Zen. Che Gigi abbia lasciato che un miscredente come me si occupi della raccolta dei suoi scritti, sì, di montagna, alpinismo e arrampicata, ma anche di Buddismo Zen, ha dell’incredibile. E’ un’altra delle sue grandiose stranezze, che ho accettato con timore e desiderio.

In questo volumetto sono raccolti:

  • Tre scritti tratti dal libro “ Le Mani e i piedi del Buddha” e cioè: “L’arte di arrampicare in roccia e lo Zen” (Roma 1965). “Lo Sci e lo Zen, ossia le curve fatte col cuore” (Kobe 1970). “A piedi da Kyoto a Tokyo” (Kyoto 1971).
  • Brani tratti dal libro “Con gli scarponi e la corda legata in vita” (Orvieto 2001).
  • Brani tratti dai Notiziari da Scaramuccia (Scaramuccia 1977 – 2015).
    Il curatore ha scelto solo alcune tra le migliaia di pagine scritte in 50 anni da Luigi Mario, tralasciando di fare commenti o di aggiungere spiegazioni che tradirebbero il pensiero dell’autore. E’ ben conscio che la scelta stessa, e lo stesso ordine in cui sono messi i brani, è già un tradimento (d’altra parte Gigi, se qualcuno ti deve tradire, solo un amico può farlo, non certo un nemico).

Mi piace qui citare dall’introduzione a “Con gli scarponi e la corda legata in vita” una riflessione dell’autore sulla sua scrittura:

“Io non credo di avere un particolare talento per la scrittura, mi piace scrivere, così come mi piace
arrampicare, andare in bicicletta, fare taici e ovviamente zazen.
Alcune di queste arti mi riescono bene e certe volte ho addirittura pensato che le conoscessi prima
di essere nato, per come m’è venuto spontaneo impararle.
Ma come per l’arrampicata, che ho sempre praticato per il solo gusto di praticarla, è stato così pure per taici, zazen e scrivere.
A un certo punto, cominciando a insegnare, ho preso ad arrampicare, fare taici, zazen e scrivere pure per gli allievi. Così, a parte i diari, che ho scritto per me, non esiste qualcosa che io abbia scritto per un pubblico anonimo, perché ho sempre avuto in mente che quanto scrivevo potesse arrivare soltanto a certe persone.

Sicuramente questo modo di pormi è stato un mio limite, perché uno scrittore di professione che aspiri al successo, se non si rivolge al pubblico più vasto possibile, deve solo smettere di scrivere.
Non sono e non desidero diventare uno scrittore di professione. E se c’è un termine che mi dà fastidio, fra i tanti della cosiddetta modernità, è proprio professionalità. Non voglio avere professionalità e trovo molto volgare avere successo!

Mi piace scrivere e so che quanto scrivo è apprezzato soprattutto da poche centinaia di persone, ancora più specificamente due trecento allievi. Inoltre faccio l’insegnante non solo con le dimostrazioni verbali o fisiche ma pure per mezzo della parola scritta.
Avendo avuto il piacere e la responsabilità di fondare una scuola, nell’arco di una trentina di anni ho provato con discrezione a indicare un modo di scalare le montagne rispettoso dell’interiorità dell’uomo e della natura.

La Scuola non è nata da zero o nel vuoto ma ha una storia che deve essere conosciuta, specialmente da coloro che hanno cominciato a prendersi la responsabilità di guidare essi stessi degli allievi. Ognuno si fa la propria storia da sé ma non si può ignorare che Scaramuccia è iniziata in India duemila e cinquecento anni fa”.

Non sono del tutto d’accordo: la scrittura di Luigi Mario è quella di un uomo che sullo scrivere ha riflettuto tutta la vita, e che per di più è stato ed è tuttora un fortissimo lettore, venuto a contatto con le grandi letterature di tutti i paesi, da cui ha certamente assorbito molto. Se c’è una caratteristica nella sua scrittura è la mancanza di retorica, nel senso che lo scrittore rinuncia all’uso di quelle forme, che risalgono alla prosa classica, miranti a dare una maggiore efficacia al discorso, cioè rinuncia agli artifici della retorica. Questa cosciente rinuncia alla retorica è essa stessa una forma raffinatissima di retorica. Le sue pagine sono infatti scritte con grande semplicità e chiarezza e c‘è in esse un’altrettanto grande precisione nella ricerca delle parole, propria dei migliori scrittori. Alcune passi sono permeati di quella poesia che deriva dalla sensibilità di chi ha vissuto a lungo, anzi, quasi sempre, nella bellezza commovente e nella magia della natura. Proprio per questa loro prerogativa di semplicità e raffinatezza penso che gli scritti di Luigi Mario possano interessare ed essere compresi da qualsiasi persona colta e curiosa e non solo dagli allievi di una scuola Zen.

Prima di lasciare il lettore in compagnia delle pagine di Luigi Mario vorrei avvertirlo che “Lo Zen e l’arte dell’arrampicata” non è un libro per imparare il Buddismo Zen e neppure un libro per imparare l’arte dell’arrampicata, in più occasioni l’autore avvertirà che sia lo Zen che l’arrampicata non si possono imparare sui libri, ma solo frequentando una scuola e seguendo un maestro. E allora che cos’è?

Per me è soprattutto la storia di un uomo curioso, onesto e coraggioso, che ancora giovane ha raggiunto una grande abilità nell’arrampicata, ma che si è anche accorto dell’inutilità di tutto ciò; si è accorto che dopo una montagna ce ne sarebbe stata un’altra, e un’altra, e un’altra ancora, ma che nell’arrampicata e nelle montagne non c’era la risposta alle sue domande. Fu così che, spinto da motivazioni interiori più alte delle montagne, domande che riguardano il senso della vita e della morte, un giorno partì per l’oriente alla ricerca di un maestro che potesse rispondere a quelle domande.

Quel maestro lo trovò nel Roschi Yamada Mumon nel monastero Shofukuji di Kobe, con cui ha percorso un duro cammino, più duro di quello che porta in cima alle montagne; ha vissuto sei anni in Giappone facendo in inverno il maestro di sci per mantenersi, non sapendo, al momento del suo arrivo, una parola di giapponese. Poi è tornato fra noi a raccontarci, anche con questo libro, la sua storia e la sua strada.

LoZencover-300

LO ZEN E L’ARTE DI SCALARE LE MONTAGNE
di Luigi Mario
MonteRosa Edizioni
www.monterosaedizioni.it

© AlpineSketches 2015