Bhagirathi III

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Bhagirathi III 6457 m. Western Garhwal Himalaya, India West and South Faces
left to right, in red:
– Impossible Star (Spanish Route), 6c A3+ 60° (orig. VI A3/A3+), 28 pitches, 1300m, Juan C. Aldeuger, Sergio Martinez, José L. Moreno i Juan Thomás, May 1984;
– The Slovenian Route ED+ VIII A4, 85°, Janez Jeglič, Silvo Karo, September 1990;
– Stairway to Heaven (South West Pillar Direct) VIII+/IX-, 30 pitches plus summit slopes, 1300m, Walter Hölzler, Jörg Pflugmacher, May 2004, six-day capsule style ascent;
– Scottish Route (South West Pillar) 5.8 A2, 45-60° (now climbed at around VI+ with a little aid) , Robert Batron, Allen Fyffe, September 1982;
– Express Tchèque (Czech Direct, Central Pillar of South West Face) VII 50°, 24 pitches on granite followed by shale band, Zdeněk Šlachta, Zdeděk Michalec, August 1993;
South Face
– Les Temps Sauvages 6a A2, 22 independent pitches, 1300 m, , Arnaud Guillaume, Remi Thivel, May 1998;
in yellow:
– Russian Route VI 5.11 A4 (with sections of difficult mixed terrain), 1110 m, Vladimir Kachkov.Yuri Koshelenko, Andrei Lukin, Igor Potankin, September-October 1998, climbers spent 16 days climbing capsule style, two days for the rappel;
– Marko Prezelj, Rok Blagus and Luka Lindic, September 2009: 1300 m, 6b, M5 e WI5, ED.

1990.  Nuova via al centro della parete ovest, dal 2 al 7 settembre, Silvo Karo e Janez Jeglič.
Climbs the West Face of B.3 with Janez in super alpine style. 1300 meter portaledge route. “Spendiamo solo un po’ di tempo in cima. Una lunga e sconosciuto discesa ci aspetta. Per un attimo la nebbia si alza e così possiamo almeno decidere approssimativamente su che direzione prendere
All’inizio la nostra discesa è su neve, ma ben presto arriverà la roccia. Nevica forte e la visibilità è pari a zero. Un nevaio di un’inclinazione indefinibile è molto pericoloso.
Dopo la terza corda doppia le corde si incastrano…. Janez lotta con esse disperatamente. Alla fine decide per una trucco pericoloso. Si arrampica per un po’ e poi salta nel vuoto. Ci riesce. Lo vedo volare con la corda lasca per una quindicina di metri per poi sprofondare nella neve fresca. Continuiamo la nostra discesa con sempre meno attrezzatura. Ci affidiamo a quel che resta dei chiodi. Un certo numero di corde doppie le facciamo assicurate ad un unico chiodo o a un friend.
A volte accoppiati tra loro. Janez confessa che, durante una discesa, il friend che dovrebbe portare il peso è saltato fuori, solo il chiodo ha tenuto.
Ormai abbiamo esaurito le attrezzature. Anche la corda viene lasciata in parete. La pendenza è minima, la neve è sempre umida e si mescola con la pioggia. Una caduta in un crepaccio mi dice che siamo sul ghiacciaio del Vasuki. Da qui abbiamo un’altra quindicina di chilometri sopra il ghiacciaio Chaturangi fino al campo base. Alle otto di sera, raggiungiamo il campo base, vuoto. A causa dei limiti di tempo, Mojca e i portatori hanno già lasciato la valle. Fradici, ci sediamo nel luogo che era la cucina per gustare le leccornie preparate prima che se ne andassero tutti. Poi andiamo al campo di una spedizione indiana. Noi siamo esausti. Abbiamo le mani gonfie e sanguinanti che sono così dolorose che dobbiamo chiedere aiuto anche per toglierci gli scarponi. Non riesco a sostenere una tazza di tè. Siamo troppo stanchi per dormire. Per tutta la notte tutto ciò che possiamo fare è bere. Nelle prime ore del mattino scendiamo il sentiero per Gangotri, poi verso Nuova Delhi e Kathmandu. Dopo tre giorni di riposo, dove si cerca di ripristinare i dieci chilogrammi di peso perso in salita, si vola il 14 settembre a Lukla. Il 17 siamo già al Campo Base dell’ Everest.”
Silvo Karo, AAJ, 1991