Cengalo, il gigante ferito

La gente guarda sempre in alto, verso le Sciore, il Cengalo, il Badile, graniti che scintillano contro il sole di mezzogiorno ma è in fondo alla Bondasca che tutte quelle pietre arrivano, prima o poi. In mezzo a delle case che sembrano le più povere della Svizzera, in un paese dal nome che sembra un rumore.

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di Davide Terraneo

3.369 metri di roccia, ghiaccio e neve. Pilastri, goulotte, canali, placche lisce e una parete che con i suoi 1.300 metri di dislivello è la più alta di tutte le Alpi Retiche. Basterebbe questo per descrivere il gigante della Val Bregaglia che da sempre è stato un po’ accantonato a livello alpinistico rispetto al più famoso e solido Pizzo Badile. Il primo a cimentarsi con la repellente parete nord del Cengalo, che affaccia sulla Svizzera, è stato il principe Scipione Borghese il 29 giugno 1897, accompagnato dalle Guide Martin Schocher e Christian Schnitzler che seguirono i canali e la famosa rampa centrale della parete dove 120 anni fa si trovavano nevai perenni anche in estate. Una salita molto rischiosa e azzardata che potrebbe essere paragonata come dislivello e difficoltà su versanti settentrionali al più conosciuto couloir Coolidge al Monviso.

La seconda via nata sulla parete fu concettualmente e tecnicamente differente dalla prima in quanto si sviluppa tutta su roccia attraversavo un mare di placche, su un pilastro alto 800 metri. Nacque cosi la famosa Gaiser-Lehmann nel 1937 che oggi rappresenta una classica di media difficoltà (V+) e di sicuro è la via più ripetuta del Cengalo sul versante settentrionale.

Pochi alpinisti col passare degli anni si cimentarono con questo severo ambiente e tra nuove vie, ripetizioni e solitarie, la caratteristica comune è stata sempre una: l’inverno e il forte gelo.

Poi nel 1984 il Cengalo fu protagonista di un’impresa totalmente differente rispetto alle precedenti e alle future. Un’impresa che accompagnava e non contrastava la direzione della gravità, eseguita in piena estate e non nella stagione fredda. A firmarla Stefano De Benedetti, pioniere e visionario dello sci estremo che fu invitato dalla sua amica e compagna ai corsi per diventare Guida alpina Renata Rossi per tentare la discesa con gli sci dalla via Scipione-Borghese.

Nessuno avrebbe immaginato che una quindicina d’anni dopo, la parete nord sarebbe tornata alla ribalta non grazie a exploit alpinistici o di sci estremo, ma per gli enormi crolli e frane che col passare degli anni hanno mutato per sempre l’aspetto della montagna e del fondovalle.

A partire dal 2003 sono due le date che hanno segnato il cambiamento: il 27 dicembre 2011 la prima grossa frana (circa due milioni di metri cubi) si stacca in prossimità della via Cacao Meravigliao, distruggendola in parte e distruggendo buona parte della Scipione Borghese e dei Pilastri Kasper.

Il 23 agosto 2017 la seconda mastodontica frana di più di quattro milioni di metri cubi si stacca sempre in prossimità della precedente. Gli effetti sono devastanti. Lo spostamento d’aria genera venti a più di 250 km/h che spazzano tutti i boschi del fondovalle dove si registrano accumuli di materiale fino a 60 metri di altezza. La strada per Laret viene cancellata e con essa anche alcune abitazioni, stalle e falegnamerie a Bondo. La colata di fango e detriti arriva fino alla strada che sale al passo del Maloja provocando ingenti danni e dividendo in due l’intera Val Bregaglia per diversi giorni.

Misteriose sono anche le cause alla base di questi crolli in quanto sono avvenute in due periodi dell’anno completamente differenti per condizioni climatiche. Tuttavia i vari cicli di raffreddamento e riscaldamento, lo scioglimento del permafrost e il ritiro del ghiacciaio basale vicino ai pilastri Kasper, che faceva da fondazione e supporto alla porzione di montagna crollata, sembrano essere alla base di questi crolli. Sono ancora circa due i milioni di metri cubi che potrebbero crollare e sono costantemente monitorati da georadar svizzeri posizionati alla capanna Sciora. Per ora l’unica cosa certa è la distruzione di una valle unica nel suo genere e l’impossibilità di praticare tante le attività, dal trekking al canyoning fino alla gita regina con sci e pelli: la cima della Bondasca.

La leggenda della Scipione Borghese, tra ripetizioni e discese estreme

La Scipione Borghese rappresentava e in parte rappresenta ancora il richiamo più forte di tutta la parete. La via era logica, abbastanza sicura e con difficoltà tecniche non estreme. Si articola con un dislivello di 1.300 metri, ma uno sviluppo ben superiore, creando una sorta di doppia zeta.  Aperta nel 1897, è stata l’unica via di misto salita in estate. La prima ripetizione e invernale spetta a Heinz Steinkotter e compagno negli anni Sessanta.

Luglio 1983 Andrea Savonitto detto il Gigante, in salita lungo la Scipione Borghese CREDIT Giuseppe Popi Miotti

Luglio 1983 Andrea Savonitto detto il Gigante, in salita lungo la Scipione Borghese. Foto Giuseppe Popi Miotti

Negli anni a seguire alcuni alpinisti più o meno noti passarono poi da quì e sicuramente tra i più attivi ricordiamo Andrea Savonitto, Giuseppe Popi Miotti e Guido Merizzi nel 1981; Renata Rossi, Franco Giacomelli, Stefano Caligari e Franco Gallegioni per la prima salita invernale senza bivacchi in parete il primo gennaio 1988; Paolo Cucchi (compagno di cordata di J. Jimeno sulla mortale Brutamato Jeje), Rossano Libera per la prima solitaria invernale e Patrick Berhault insieme a Ottavio Fazzini. In mezzo a questa elite di alpinisti si è infilato Stefano De Benedetti a risolvere il rebus di posare un paio di sci su questo proibitivo versante.

Stefano de Bendetti in discesa lungo la rampa centrale della via Borghese l'8 luglio 1984

Stefano de Bendetti in discesa lungo la rampa centrale della via Borghese l’8 luglio 1984

Esattamente sabato 8 luglio 1984 Stefano faceva la sua prima curva lungo la parete nord del Cengalo dopo essere partito dal fondovalle accompagnato da Renata e suo marito Franco fino all’inizio della famosa rampa centrale obliqua. Il 1984 è stato un anno importante per Stefano, pieno di discese e a fine stagione si sentiva molto allenato. Da un paio di anni si era concentrato sulle discese di pareti non più con fondo glaciale ma roccioso. Uno dei capolavori più grande in questo stile fu di sicuro la parete Est dell’Aiguille Blanche de Peuterey (14 giugno 1984) denominata in seguito la parete che non c’è. Sul Cengalo non si trattava né di una parete con fondo glaciale, né di una parete di pura roccia. Il nevaio che d’estate si formava sulla Borghese era come un serpente bianco in mezzo a un mare di granito. La montagna risultava completamente spoglia di neve a luglio e l’unico bianco presente era quella striscia che collegava la base alla vetta, fatta di canali, cenge, rampe oblique e traversi esposti, dove la neve si era accumulata per tutto l’inverno e la primavera. Questa particolare conformazione colpi profondamente Stefano che accettò l’invito per tentare la discesa con gli sci. Gli ostacoli più grossi da superare furono la lunghezza della salita e la relativa lunghezza in discesa con la neve che aveva esposizioni diverse al sole e il fatto che una volta arrivato sotto la cima era molto difficile bucare l’enorme meringa presente per raggiungere la vetta. Però Stefano era prima di tutto uno sciatore e aveva deciso di non perdere troppo tempo per la cima e di partire quando le difficoltà sciistiche diventavano alpinistiche. La rampa centrale esposta a ovest fu l’unico pezzo affrontato con la neve abbastanza dura e rovinata dalle scariche che ormai in piena estate cadevano dell’alto. Nella parte finale in discesa non segui il canale classico ma scese a sinistra lungo la variante Risch, aperta dallo svizzero Walter Risch, autore insieme al connazionale Alfred Zurcher della prima salita dello spigolo più famoso delle intere Alpi: lo spigolo nord del Badile. Impensabile immaginare oggi una discesa del genere a luglio quando la montagna è completamente spoglia di neve. Impensabile immaginare una discesa dopo i crolli del 23 agosto 2017 che hanno devastano la parte superiore nella sua totalità e danneggiato la rampa centrale. Se prima c’era una piccola possibilità di ripeterla in discesa con qualche magheggio, ora siamo certi che quella discesa leggendaria rimarrà solamente un grande ricordo dove qualcuno, nel proprio piccolo, ha sognato e sperato per anni di poter curvare sulle tracce di Stefano.

Stefano De Bnedetti indica il punto di partenza della sua discesa sulla Scipione-Borghese

Stefano De Benedetti indica il punto di partenza della sua discesa sulla Scipione-Borghese

 

 

Renata Rossi, da protagonista a spettatrice

Renata possiamo definirla come la custode della Bondasca. Oltre ad abitare praticamente sotto questa valle, ha salito le principali vie di tutto il gruppo Sciore, Gemelli, Cengalo e Badile insieme al marito Franco Giacomelli e ad altri compagni di cordata. Due sono i ricordi che la legano al Cengalo non da protagonista ma sta spettatrice.

«Nell’estate del 1984, dopo aver conosciuto Stefano ai corsi per diventare Guida alpina sul Monte Rosa, lo invitai per tentare di compiere l’impresa con gli sci. Ai tempi le estati non erano ancora così calde e la parete del Cengalo presentava un enorme serpente bianco che si scagliava tra grandi placche di granito. Il primo tentativo andò a vuoto dopo un bivacco in fondo valle a causa delle condizioni non ideali. Stefano non voleva saperne di riposare e il giorno successivo si recò sul Piz Palù occidentale (3.823 m, punta Spinas) per realizzare la prima discesa della parete nord lungo la via Corti, variante Comino (800 m, 55°). Esattamente una settimana dopo ritentò la discesa. Io e mio marito Franco lo accompagnammo per tutta la variante Risch, fino all’inizio della rampa centrale dove poi continuò da solo. Mille metri più in basso la fidanzata di Stefano, Paola, col cuore in gola osservava l’impresa. Come da pronostico Stefano non riuscii a bucare l’enorme meringa della cornice sommitale e quindi si fermò venti metri sotto. La prima parte presentava una neve già addolcita dal sole mentre la rampa centrale, proprio perché girata verso ovest, aveva un fondo ghiacciato. L’immagine che ho di Stefano è quella di un minuscolo puntino in un mare di granito fermo per ore su un baratro ad aspettare che i raggi di sole addolcissero un po’ la neve per potere terminare la discesa. Nell’ottobre del 2001 ho avuto la fortuna di conoscere Patrick Berhault mentre si trovava in Bondasca durante le riprese del suo famosissimo film La Cordée de Rêve che documenta la traversata delle Alpi senza mezzi a motore, scalando su tutte le pareti più difficili e partendo dal Triglav fino alle Alpi Marittime. Il duo dei Patrick (Berhault ed Edlinger) era venuto per scalare la via degli Inglesi al Badile, ma una tormenta di neve aveva imbiancato la parete, rendendola impossibile. Edlinger, che si era spinto fino in Val Bregaglia per fare una via di sola roccia, si ritirò, e cosi Berhault, accompagnato da Ottavio Fazzini, fratello del più noto Tarcisio, salì dalla Borghese in velocità partendo da Bondo. Dopo essere scesi in Gianetti, Ottavio continuò in direzione Masino mentre Patrick, senza aver mai visitato le nostre zone prima di allora, tornò da solo, rientrando per il passo Porcellizzo e il passo di Trubinasca, fino a Bondo, dove arrivò alle sette di sera. Il giorno successivo lo raggiunse Philippe Magnin con il quale concluse questa ambiziosa traversata».

 

Il Cengalo e il suo futuro alpinistico 

di Luca Maspes

L’alpinismo sulla Nord del Cengalo non è morto, forse lo rivedremo solo tra un po’ di anni e sarà sempre su terreno misto. Per salire su un franamento, ciò che più importa sarà il collante che tiene fermo tutto, per cui solo in inverno e con basse temperature la nord del Cengalo rivedrà gli alpinisti.

Anche senza essere geologi si capiva che era già un’immensa frana, una enorme cattedrale di granito alta più di mille metri che si era costruita in secoli di erosione; tantissime erano le sezioni di granito bianco dove si poteva intuire che in tempi sconosciuti grosse fette di montagna erano già venute giù. Penso che sia un normale ciclo dello sgretolamento delle montagne, probabilmente alimentato dal caldo e dalle precipitazioni ultimamente molto scarse.

Le frane comunque non hanno cambiato la frequentazione già scarsa della parete nord, forse negli ultimi anni erano calate le ripetizioni della Gaiser-Lehmann, l’unica via classica di questo versante, solo perché l’avvicinamento dal Rifugio Sciora era chiuso per colpa del primo grosso distacco e magari perché ci si sentiva un po’ troppo vicini a quello che doveva ancora accadere. Le altre vie interessate dai crolli, come il pilastro centrale della Attilio Piacco o i Pilastri Kasper invece sono raramente o mai ripetute se non in inverno e da specialisti.

A destra e sinistra delle rampe nevose della Borghese in inverno si formano righe e placche di ghiaccio che si appiccicano sulle lisce placche di granito; in queste pieghe gli scalatori cecoslovacchi, preparati dalla severità delle vie sulle montagne di casa, i Monti Tatra, hanno trovato un terreno di scalata a loro congeniale e in due puntate, a inizio e fine anni Ottanta, hanno salito alcune vie di altissimo livello alpinistico. Erano lunghe, delicate e pericolose, ma molto meno che a salirle d’estate. Per Renata Rossi e Kacaba sconosciute o quasi, sconosciute quanto il loro unico ripetitore, il tedesco Frank Jourdan, che le concatenò in solitaria pochi anni dopo l’apertura.

L’unica incursione italiana in questo dedalo di terreno misto fu nel 1987, con Giuseppe Popi Miotti che nella continua ricerca di pareti vergini delle Alpi Centrali individuò una linea di salita sul lato nord-est dell’enorme parete. Legato a Tarcisio Fazzini, cavallo di razza dell’epoca, e Camillo Selvetti aprì Cacao Meravigliao, da allora mai ripetuta. L’ultimo franamento è arrivato a lambire la parte bassa di questa via, ma considerando che già si svolgeva su vecchissimi franamenti di chissà quando, è una via che si potrà ritracciare, ovviamente in inverno e con il ghiaccio che terrà incollato il terreno.

Il Cengalo ha un posto particolare nelle montagne che preferisco, ci ho aperto cinque vie di roccia, ci ho fatto alcune solitarie e invernali, ma tutte sul versante opposto a quello delle grandi frane, quello meridionale dove le pareti sono alte la metà e di roccia perfetta o quasi, solari e invitanti.

Sulla nord ci ero finito con propositi bellicosi più di 25 anni fa, giovanissimo, quando ero partito slegato e senza casco sui Pilastri Kasper perché sapevo che nessuno li aveva mai saliti in solitaria. Poco dopo l’inizio, fermo a una sosta su uno spuntone, un sasso vagante arrivò dall’alto e colpì il cordino davanti a me. Ho ancora un autoscatto con il cordino centrato al posto mio. Forse era il primo sasso che mi sfiorava così da vicino. Scesi al volo un po’ spaventato e me ne andai al rifugio Sasc Furä, dove il giorno dopo salii slegato la parete nord-est del Badile lungo la via Neverland.

 Dal passato al presente: le nuove linee in sci e snowboard

«L’anfiteatro delle pareti settentrionali di Cengalo e Badile è forse il luogo più imponente e assoggettante di tutte le Alpi Centrali. Tra i crolli di qualche anno addietro sulla Nord del Cengalo e i grandi crepacci di questo pur piccolo ghiacciaio, tanto profondi che non te li sogni neanche la notte, è l’ultimo dei luoghi in cui si vorrebbe andare a ficcare il naso; d’altra parte tra tutte le passioni che uno può avere a me e ai miei soci è capitata proprio quella della montagna e di conseguenza per posti come questi andiamo matti»
Matteo Tagliabue

Nella pancia della balena: Pizzo Cengalo – parete nord/ovest – 650 m, 55° – 50°

Prima salita e discesa in sci: Alberto De Bernardi, Davide Terraneo, Matteo Tagliabue, Enrico Broggi – 17 aprile 2014, in giornata da Bondo

17 aprile 2014 Davide Terraneo in discesa sulla parete Nord-ovest del Cengalo con la Est Nors Est del Badile sullo sfondo. Photo Alberto de Bernardi

17 aprile 2014 Davide Terraneo in discesa sulla parete Nord-ovest del Cengalo con la Est Nors Est del Badile sullo sfondo. Foto Alberto de Bernardi

Nel 2013, dopo le prime ripetizioni di discese estreme nel gruppo del Masino-Disgrazia e in giro per le Alpi, la nostra fame si stava ingrandendo sempre di più. Sognavamo linee improbabili e, non appena vedevamo un lenzuolo bianco di neve, anche se interrotto da un salto di 300 metri di pura roccia grigia, sognavamo di sciarlo. Il Cengalo era immobile davanti a noi e ci osservava nei nostri su e giù per la Val Bondasca. Sapevamo della Scipione-Borghese e della discesa di Stefano. Sapevamo che c’era ma non ne parlavamo mai, forse spaventati dalla sola idea di provare a metterci il naso. Ad agosto 2013, durante un servizio sul Sentiero Roma, io e Matteo (Teo Taglia) abbiamo concatenato parte del sentiero dal rifugio Omio fino all’Allievi salendo sul Badile e sul Cengalo in modalità fast & light. In quell’occasione ho capito che una parte della normale italiana, fino al colle del Cengalo, era sciabile e che, se si fosse riusciti a collegarla con qualcosa che scendeva sul versante settentrionale della montagna, ne sarebbe potuta uscire una super linea con partenza direttamente dalla cima di questo bestione. Il tempo passa e presto arriva l’inverno del 2014 che scarica a terra quantità di neve record nelle Alpi Centrali. Dopo i primi giri di riscaldamento, a inizio primavera mi chiama il mio amico Alberto de Bernardi, profondo conoscitore della Bondasca e dei suoi angoli nascosti, per propormi la discesa dal colle del Cengalo attraverso il canalone Klucker. Incuriosito, penso a quello che ho visto con i miei occhi ad agosto, ovvero la possibilità di partire dalla cima del Cengalo e sciare una parte sul versante sud per poi scendere a nord. Subito cerco foto e informazioni e noto sulla sinistra del Klucker una sinuosa linea che sale in piena parete nord-ovest e che è anche riparata dalle scariche dell’immensa parete est-nord est del Badile, che coi i primi raggi di sole e la neve invernale potrebbe regalare brutte sorprese. Un giro di chiamate ed è fatta. Partiamo dal paesino di Bondo con gli sci in spalla verso questo lungo viaggio. La prima incognita della giornata è l’attraversamento del ghiacciaio basale, che seppur piccolo è molto crepacciato e insidioso. Siamo quattro minuscoli puntini che salgono oppressi da giganteschi muri di granito alti mille metri in un ghiacciaio che sembra un labirinto. Arrivati alla base del labbrone della terminale troviamo un esile passaggio che ci immette nella parete nord ovest vera e propria. Da adesso in poi l’incognita diventa la salita e la relativa discesa. Per viaggiare leggeri abbiamo una sola piccozza a testa e il traverso ascendente a destra sopra una falesia di 60 metri fa salire un po’ la tensione. Ci sentiamo come Pinocchio quando viene inghiottito assieme a Mastro Geppetto nella pancia della balena, siamo piccoli e indifesi. Davanti a noi si scaglia verso l’alto la parete est del Badile con capolavori come la Via degli Inglesi, Hiroshima, la Corti-Battaglia, la Diretta del Popolo e la Via dei Cecoslovacchi. Dopo aver superato le ultime difficoltà, sbuchiamo sulla cresta sommitale. Sono già le 14, la neve nella parete/canale è dura e grippante ma una fastidiosa forma a v dovuta alle scariche ci farà capire che dovremo sciare quasi tutto in contropendenza. Decidiamo di scendere visto l’orario, alla cima ci penseremo un’altra volta. Una serie di curve chirurgiche ci depositano alla base della parete, felici di avere inciso con le nostre lamine la pancia della balena. Matteo è tornato qualche settimana più tardi per compiere la prima ripetizione della via dei Cecoslovacchi (V+, 80°) insieme a Valentino Cividini (6 maggio 2014).

Pizzo dei Gemelli – canale nord – 800 m, 55°- 40°

Prima discesa in sci: Alberto De Bernardi e Claudio Pozzi – 16 aprile 2011

Prima ripetizione e discesa in snowboard: Mattia Varchetti, Davide Terraneo (sci), Pietro Marzorati (snowboard) – 8 marzo 2015

16 aprile 2011 La parete Nord del Cengalo con al suo centro la via Scipione-Borghese prima dei mastodontici crolli CREDIT Alberto de Bernardi

16 aprile 2011 La parete Nord del Cengalo con al suo centro la via Scipione-Borghese prima dei mastodontici crolli . Foto Alberto de Bernardi

Esattamente dalla parte opposta della parete nord-ovest, un interessante pendio si trasforma quasi in un budello, cercando di farsi strada verso il cielo attraverso il Cengalo e i Pizzi dei Gemelli, fino a sbucare su di un angusto colle. Questo canale prende il nome di canale nord del colle dei Gemelli ed è stato sciato per la prima volta da Alberto De Bernardi e dal suo compagno e Guida alpina Claudio Pozzi il 16 aprile 2011 (prima della grossa frana firmata dicembre 2011).

16 aprile 2011 Claudio Pozzi in fondo al colle del gemelli con il ghiacciaio spazzato via dal crollo del 27 dicembre 2011. CREDIT Alberto De Bernardi

16 aprile 2011 Claudio Pozzi in fondo al colle del gemelli con il ghiacciaio spazzato via dal crollo del 27 dicembre 2011. Foto Alberto De Bernardi

Alberto è forse l’unico che già molti anni fa mi parlava della Scipione Borghese. Il loro tentativo è stato poi dirottato, dopo un bivacco improvvisato sotto un sasso con relativo temporale nevoso, proprio al più accessibile canale nord dei Gemelli. Apparentemente innocuo, questo canale nella parte iniziale riserva pendenze molto elevate su contropendenze tecniche e uno spazio per curvare estremamente limitato. Per accedere alla terminale bisogna passare sotto la parete nord est del Cengalo, ovvero quella tormentata dai crolli del 2011 e del 2017. A fine marzo 2015, dopo più di un mese di freddo e vento e neve assestata, propongo questa gita a Pietro e Mattia. La partenza è sempre la stessa (Bondo), ma la meta e diversa. Dopo 2.300 metri di dislivello ci troviamo in cima al colle dei Gemelli, infreddoliti dalle sette ore di salita tutte in ombra, pronti per la discesa. La prima cosa che notiamo è la mancanza dei seracchi e una parte del ghiacciaio basale dei Gemelli dovuta ai crolli del 2011. Anche in questo caso la neve dura con qualche onda creata dai forti venti invernali ci mette subito sull’attenti. Dopo la prima parte molto tecnica e un traverso verso sinistra possiamo curvare con un po’ meno di tensione ma con ancora il pensiero che dobbiamo passare dove le precedenti frane hanno iniziato a tormentare l’intera valle.

16 aprile 2011 Claudio Pozzi durante la prima discesa in sci del canale nord del Colle dei Gemelli. CREDIT Alberto De Bernardi

16 aprile 2011 Claudio Pozzi durante la prima discesa in sci del canale nord del Colle dei Gemelli. Foto Alberto De Bernardi

Il futuro della valle e dei rifugi

Forse è ancora prematuro parlare del destino dei due storici rifugi che vivono grazie alla frequentazione della Bondasca. Ad oggi vige il divieto assoluto di transito in tutta la valle e non si sa ancora per quanto. La strada per Laret non verrà ricostruita sicuramente a breve termine come molto probabilmente neanche il sentiero per la capanna Sciora, alla quale si potrà accedere solo dal versante dell’Albigna attraverso il passo di Cacciabella. Per il Sasc Furä è in previsione un nuovo sentiero che, partendo in prossimità del primo tornate della carrozzabile per Laret, passerà dall’Alpe Cugian e dall’alpeggio di Lera per poi collegarsi nel bosco sotto al rifugio con il vecchio sentiero. Solo dopo l’inverno e lo sciogliersi della neve si potrà avere un quadro più preciso della situazione. Rimane chiaramente aperto invece il rifugio Gianetti anche se il calo di flusso di alpinisti provenienti dal Badile (spigolo nord e Cassin) potrà essere un problema non trascurabile.

Testo e foto di Davide Terraneo

per gentile concessione della rivista Skialper, estratto dal numero 115.

AlpineSketches, 2018