La grande gita

di Stefano Lovison

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Non so se ricordate come si andava verso i monti una volta, in che tipo di macchine e attraverso quali strade.

Erano tempi in cui le code non erano nominate in modo scientifico come adesso, incolonnamenti, a fisarmonica, rallentamenti. No, erano gli anni del boom e la coda era un fatto definitivo, aveva in sé con una certa sorpresa di novità, tutto il dramma e l’ineluttabilità degli eventi senza via di scampo. Quando succedeva si scendeva tutti dalla macchina, si dava aria al motore e ai vecchi, si discuteva sul meteo e si faceva anche amicizia. I più intraprendenti e curiosi, alla ripartenza si ritrovavano sempre impreparati nel rincorrere all’indietro per centinaia di metri la propria autovettura.
E fin nei progetti, giacché le partenze intelligenti non esistevano, l’esigenza della via alternativa era obbligatoria, la scorciatoia! Che poi si allungasse in km e in tempi memorabili non importava, l’importante era non stare fermi e non come adesso a leggere facebook o a farsi i selfie.

Per noi bambini il tempo del viaggio era bellissimo, impegnati a fare le gare a chi contava più cartelloni pubblicitari, a evitare qualche sberla roteata a casaccio dal conducente fumatore, a ridere o a non vomitare al quinto tornante del Costo.

La gita era rappresentata più dai trasferimenti automobilistici che per altro. Diventavano quindi familiari e anche rassicuranti certi luoghi di transito come il panificio a Valstagna, un bar a Lastebasse con una barista avvenente che piaceva al nonno; o peggio, le code interminabili provocate dal semaforo di Cornuda e relativa (cornuta) gelateria.

Altri eventi erano molto importanti e temuti: il cambio dal metano a benzina prima della Cavallera o sulle scale di Primolano. O vissuti con trepidazione fin dall’alba da tutto l’equipaggio tipo la pendenza estrema del 19% (!) del passo san Pellegrino che era un viaggio solo per i più temerari o come pure raggiungere baita Segantini magari solo per un caffè. Quella fu la volta che trovai sul nevaio del Travignolo (in agosto la neve arrivava giù fino in val Venegia) un portafogli gonfio di banconote che mi valse una trionfale spuma/arancio (colorante E110, cancerogeno) da parte del disperato, prima e poi gentilissimo proprietario tedesco.

Fa un po’ impressione ora viaggiare veloci per le circonvallazioni di tutti quei paesini. Il traffico poi non è cambiato più di tanto, si va appena più veloci certo non tanto da nascondere i nuovi orrori urbanistici e le mille rotatorie – in quella enorme di Caerano è ormai cresciuto un bel boschetto.

Una cosa è vera, che è nel viaggio che sta l’avventura e quando si arriva comincia tutta un’altra faccenda. Era quello il momento in cui il riverbero della luce dei monti era così puro da scintillare negli occhi trasparenti di noi bambini.

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testo e foto dell’autore
© Alpine Sketches 2015