Confini

Becco di Mezzodì. Foto di Stefano lovison

Becco di Mezzodì. Foto di Stefano Lovison

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di Silvia Benetollo

Una delle pagine che più mi sono rimaste impresse del romanzo di Marguerite Yourcenar ‘Memorie di Adriano’ è quella in cui il giovane imperatore, voltando le spalle al sud e alla sua terra, sente l’irresistibile richiamo degli spazi sconfinati dell’Asia. Io me lo immagino così, lo sguardo perso e la fronte battuta dal vento gelido delle steppe, carico di nubi e suggestioni.

Nuovi paesaggi, genti sconosciute, altre storie. Io ho sempre provato un po’ di invidia, perché Adriano aveva a disposizione una quantità inimmaginabile di spazio da scoprire, mentre oggi tutto è già esplorato, descritto, fotografato. Beh, quasi tutto. Forse il confine tra il conosciuto e l’ignoto dal punto di vista geografico è sparito, però io sono convinta che rimangano ancora confini da esplorare e scoprire. E non mi riferisco a quei limiti interiori che celano i luoghi nascosti nell’anima di ognuno di noi, parlo di confini ‘fisici’ così come li vedeva Adriano, finestre che si aprono sull’inesplorato; esistono ancora, ne sono certa, però si sono ritirati come fa la neve d’estate nei canaloni all’ombra. Serve solo un po’ di attenzione per individuare i confini di oggi, oltre alla voglia di deragliare dalla vita di tutti i giorni per concedersi il lusso di oltrepassarli. Io penso che a volte siamo un po’ come Adriano, in bilico sul confine, e non ce ne rendiamo conto.

Per esempio, avrò percorso decine di volte la statale agordina, e ogni volta mi rendo conto che il finis terrae si trova appena oltre il guardrail. Così passano gli anni, e ancora non so cosa si cela in quelle gole oscure e inquietanti, che sbucano improvvisamente dall’oscurità e finiscono svelte sotto ai ponticelli della statale agordina. Cosa c’è dietro a quell’ultima ansa del torrente, talmente stretta da precludere la vista al resto della gola? E quelle vallate desolate che finiscono nell’orrido del Maè sono davvero inaccessibili come sembra dalle carte? Che storia hanno, chi le ha percorse? Alcune hanno un nome che fornisce qualche indizio: Val de Doa, Venier, Caoran. Altre sono apparentemente senza nome, oppure si è perduto nel tempo. Io non so se avrò mai l’occasione di esplorare questi luoghi dimenticati.

Per adesso mi piace, ogni tanto, voltare le spalle al conosciuto per scrutare quelle vallate, con la fronte battuta dal vento che scende dalle creste, carico di suggestioni e di storie che non conosco.
E la statale diventa così il mio confine sull’ignoto.

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testi di Silvia Benetollo
foto di Stefano Lovison
© Alpine Sketches 2015