Bambini nei ’50 ruggenti

di Andrea Gobetti

 

«Mamma, ho freddo!».

«Anch’io, bambini».

«Papà quanto manca? ».

«Non so, mi sono perso, quando si è persi non si sa mai quanto manca».  S’impara ogni giorno qualcosa di nuovo, alla mia età.

«Papà, ho paura».

«Fa bene all’intestino».

«Anche la mamma ha paura?».

«Certo, tutti abbiamo paura.  Preferisci aver freddo, fame e paura qui, di notte in montagna oppure di giorno, a casa, in città?».

«Da nessuna parte».

«No, non è possibile, il freddo e la paura li incontri perché ci sono, altrimenti non avrebbero un nome, nessuno ne parlerebbe…».

«Ma noi dobbiamo proprio andarceli a cercare?» scoppia la mamma.

«Preferisci che sian loro a cercare noi? La paura è un animale come il cane, t’insegue, ma quando gli corri addosso urlando lui scappa».

«Una volta un cane mi ha morso» osserva mio fratello.

Papà non ci sente più, va a cercare la pista nel bosco ripido che stiamo scendendo. I rami sono intricati, gli alberi fitti, la neve alta. Da un’ora è diventato buio. Cadiamo continuamente. S’odono grandi crak crak di legna secca nel buio.  Papà sta facendo la pista.  Poi ci urla: «Seguite le mie tracce!».

«Ma non si vede niente!» rimbecca la mamma.  Lui ci informa che Marcel Kurz in situazione analoga se la cavò benissimo.

Oltre il bosco scintillano le luci del Melezet; in fondovalle prima o poi ci arriveremo.  La mamma cade, io pianto gli sci sotto una radice e mio fratello mi finisce addosso.  Mentre ci gridiamo aiuti consigli e parolacce nel buio, papà studia la prossima mossa. «Bisogna ora eludere il nemico…” comincia.

«Vuoi dire che ci cacciamo nei rovi? » chiede terrorizzato il fratellino ancora segnato dall’ultima manovra analoga  «O attraversiamo il torrente gelato? » fa eco la sorella che più volte è riuscita a rompere il ghiaccio.

«Sotto di noi c’è una scarpata» dice papà.

«Ci butterai mica tutti di sotto?» geme la mamma.

«Prima vi lego» rassicura papà, estraendo i soliti quaranta metri di cordino.

Mi piace quando ci legano; per un sacco di tempo non si fa più quasi fatica, tutti si occupano di te per davvero. E tu dài ordini: «Più in fretta! Più piano!». A mia sorella piace invece perché prima ci danno sempre la cioccolata o l’uvetta passa. Io preferisco la cioccolata.  Mio fratellino è contento perché quando lo calano tra rocce e neve ha tanta paura che non sente più il freddo. Dopo la calata, cioè sotto la scarpata, c’è una cengia in piano.  Papà la riconosce, c’era passato anni prima, una notte durante la guerra, col sacco pieno di dinamite, la barba lunga e il mitra a tracolla. Da quella in dieci minuti siamo alle piste battute.  Ora son tutte vuote ma affiorano in mezzo chiazze d’erba e sassi.  Mio fratello cade e riesce a farsi più male lì che nel bosco.  In fondo è ancora aperto il bar della seggiovia.  Ci comprano il chinotto, il toast, e poi la cioccolata calda e un cornetto.  La mamma ci cambia i vestiti tutti marci vicino al termosifone.  Il vecchio del bar ci dice: «bravi!». Prima ha chiesto a papà da dove eravamo scesi.  Per la cameriera siamo invece tutti matti e: «poveri bambini!».

Poi in macchina i miei fratelli s’addormentano subito, mentre papà e mamma chiacchierano davanti.  «Ai bambini fa bene» dice papà.

«Ma non sarà troppo pericoloso?» chiede la mamma.

«La montagna? Figurati! Non ci sono neanche più i tedeschi».