Agnèr, il Gigante con il cuore

Agner, in questa regione delle Dolomiti, è un termine che significa “pascolo per gli agnelli”.

Il Monte Agner, sul suo versante nord, dall’altro lato dei pascoli, ha tutta l’aria di un ciclope.
Le sue pareti si elevano infatti per più di 1.500 metri. Incastrate nella selvaggia Valle di San Lucano sono, di fatto, le più alte delle Dolomiti.
Le vie dell’Agner sono tutte celebri. Si arrampica sulle tracce dei famosi alpinisti romantici delle Dolomiti.

foto di Ettore De Biasio

AGNÈR, il Gigante con il cuore

di Francesco Lamo

La verde e pacifica valle di San Lucano è situata sopra il paese di Agordo, in provincia di Belluno. In considerazione dell’importanza delle montagne che la circondano, come la Civetta e le Pale di San Martino, Agordo può essere considerata una delle capitali dell’Alpinismo dolomitico.

Percorrendo la valle di San Lucano, che risulta disposta in direzione est-ovest, e volgendo lo sguardo verso nord, non si può non rimanere affascinati dalle verticali e radiose pareti meridionali delle omonime Pale di San Lucano, lungo le quali sono stati tracciati itinerari davvero straordinari, come la via “dei Bellunesi” e la “Casarotto-Radin” allo Spiz di Lagunàz, la “Paolo Armando” alla Terza Pala o la lunghissima “diretta Miotto-Bee” alla Seconda Pala: montagne dove vivere un Alpinismo “senza divise e senza stendardi”  [1] e dove è ancora concesso ritrovare se stessi.

Contrapposti agli attraenti e solari appicchi lucanici si erge, altissima nel cielo, la cupola sommitale della cima del Monte Agnèr. Se l’Agnèr viene osservato dalla vicina Val Cordevole lo si scopre relegato un po’ in angolo, va quasi rintracciato, ma immediatamente dopo averne individuato la sommità ed il suo lungo spigolo, l’emozione che se ne ricava è assoluta. Il nome “Agnèr” deriva dal fatto che le pendici meridionali della montagna erano un tempo molto utilizzate per il pascolo ovino; comunque, quantomeno localmente, viene utilizzato anche il termine “Spizzón”.

Tra ombra e luce lo Spigolo Nord in autunno. Foto di Ettore De Biasio.

La vetta dell’Agnèr quota soltanto 2872 m s.l.m., ma considerando che la base del suo versante settentrionale presenta un dislivello dal fondovalle di circa 550 metri, dove scorre il torrente Tegnàs a una quota media di 800 metri s.l.m., si possono intuire le ciclopiche proporzioni delle sue pareti nord. La parete nord est dell’Agnèr è infatti riconosciuta come la più alta parete delle Dolomiti e la sua imponenza è folgorante.

Entrando più in dettaglio, va detto che l’Agnèr presenta una disposizione architettonica e di orientamento abbastanza conforme al notissimo Pizzo Badile, anche se la montagna dolomitica risulta più accentuata nel dislivello e nelle verticalità delle sue pareti: si distinguono infatti la grande ed ombrosa parete nord est (in realtà è nord nord est), caratterizzata da un dislivello di 1500 m, l’interminabile spigolo nord (1600 metri di dislivello ed almeno 2000 di sviluppo) e il severo e scomodo versante nord ovest (1300 m).

Continuando l’osservazione del massiccio dell’Agnèr dalla valle di San Lucano (definita dagli alpinisti la Valle dei sogni!), appaiono, quasi come suoi custodi, i numerosi satelliti del “Gigante”, anche se è riduttivo definire satelliti cime che presentano pareti alte fino a 1200 metri di dislivello! Ad ovest dell’Agnèr sono collocati la Torre Armena e i Lastei d’Agnèr mentre ad est lo Spiz d’Agner sud, lo Spiz d’Agnèr nord (dove lo spigolo dedicato ad “Andrea Oggioni” può essere considerato ormai un percorso classico, se riferito ai parametri medi di frequentazione del gruppo) e lo Spiz della Lastia, oltre ad altre cime minori.

Prima tappa Bivacco Cozzolino. Foto di Stefano Righetto.

Due bivacchi fissi sono stati installati sull’Agnèr, rispettivamente nel 1965 e 1972: il primo, appena sotto la cima, intitolato al veronese Giancarlo Biasin, scomparso dopo aver tracciato la super via al Sass Maòr a lui poi dedicata, mentre il secondo alla base della parete nord est e dedicato ad Enzo Cozzolino, caduto dalla Torre di Babele in Civetta. Gino Buscaini, in uno dei suoi capolavori, “Le Dolomiti Occidentali”, descrisse tuttavia queste strutture fisse come “un peccato di lesa maestà”, la cui installazione influenzò sfavorevolmente il  “fascino e la  grandiosità selvaggia” del Gigante.

La conquista della parete nord est si deve a tre alpinisti non più giovanissimi: Arturo Andreoletti, milanese e ideatore della salita, Francesco Iori di Canazei, capocordata, e il triestino Alberto Zanutti, filosofo del gruppo. Nei giorni 14 e 15 settembre 1921 il trio riuscì a percorrere la logica e lunghissima teoria di canali, camini e fessure posti a sinistra dello spigolo nord, con difficoltà dichiarate di V+ e senza l’infissione di chiodi. A questa impresa venne certamente riconosciuta l’importanza dovuta al fatto di aver superato per prima la grandiosa parete, ma non le fu assegnato inizialmente il reale valore che meritava. Ciò avvenne probabilmente perché i primi salitori non possedevano una fama pari ai grandi alpinisti dell’epoca, come poteva valere ad esempio per gli scalatori della Scuola di Monaco, perché la nuova via non venne adeguatamente pubblicizzata (anche a causa della modestia e riservatezza dei primi salitori) e probabilmente anche per il limitato uso di mezzi di protezione degli italiani sull’Agnèr.

Sulle lunghezze mediane dello Spigolo nord. Foto di Francesco Lamo.

Fu soltanto 11 anni più tardi, il 29 agosto del 1932, che Celso Gilberti e Oscar Soravito riuscirono a percorrere l’evidentissimo “Spigolo nord”, 1600 metri di dislivello, la via più lunga delle Dolomiti. Lo “Spigolo nord” riscosse maggior successo rispetto all’impresa di Iori e compagni, forse perché la linea dello spigolo risultava più appariscente ed esposta e probabilmente perché i tempi erano più maturi per accettare itinerari così grandiosi. In ogni caso, i ripetitori di entrambi gli itinerari giudicheranno nettamente più impegnativa la via della parete rispetto a quella dello spigolo, perché la “Jori” non inizia da uno zoccolo di mughi come lo “Spigolo nord” ed inoltre è di più difficile lettura ed orientamento e perché estremamente più esposta alle cadute di cascate d’acqua in caso di temporale; la “Jori” all’Agnèr è un luogo dove è meglio non trattenersi con il brutto tempo.

Una curiosità: l’utilizzo della “J” per indicare la via “Jori” al posto della “I”, quale iniziale del nome del primo salitore, si deve a Ettore Castiglioni che la utilizzò fin dal 1935…ci fidiamo di lui.

Reinhold e Heindl Messner (i due non erano parenti) in compagnia di Sepp Mayerl percorreranno per primi d’inverno lo “Spigolo nord” (1967) e la “Jori” (1968), salita quest’ultima di cui è stato ricordato il quarantennale qualche tempo fa, in un piacevole festeggiamento ai piedi della parete, in compagnia di alcuni dei protagonisti dell’Alpinismo della Valle.

Numerosi i solitari per entrambe le salite, forse perché l’alternanza delle difficoltà, la notevole lunghezza e la loro eleganza sobria risultano idonee alla sensibilità e concentrazione richieste dall’arrampicata solitaria. Tra tutti spicca l’assiduo Ivo Ferrari per la bellissima ripetizione invernale di fine dicembre 2001, dove lo stesso dichiarò di aver superato la soglia della sua sicurezza, arrivando a percepire, nella parte alta dell’itinerario, “la paura che gli usciva dalle orecchie”. La sua cima fu  rappresentata da pianto e vomito. E qualche bestemmia.

Ivo Ferrari ormai in vista della Jori, verso la solitaria invernale. Foto di Ettore De Biasio.

Attualmente lo “Spigolo nord” risulta molto più frequentemente ripreso rispetto alla più severa “Jori” e non è raro riscontrarvi più di una cordata, contemporaneamente in parete, d’estate. Va comunque sottolineato che lo “Spigolo nord” rimane comunque una salita di impegno considerevole e che un eventuale ritirata dopo la prima metà si configura sempre difficile e laboriosa. Lungo lo spigolo, un’ideale posto da bivacco è localizzato all’incirca a metà percorso, presso una cengia di mughi, dove è possibile anche utilizzare la copertura di un grande masso. E’ sempre consigliabile una buona scorta d’acqua durante la salita dello spigolo, in quanto non esistono sorgenti naturali.

Momenti di relax al bivacco a metà dello Spigolo Nord. Foto di Francesco Lamo.

Una buona tattica consiste nel partire comodamente dalla valle di San Lucano ed attaccare così nella tarda mattinata, salendo durante il pomeriggio fino al punto di bivacco, alla cengia mediana indicata. Alle primissime luci del mattino successivo si riprenderà la salita, che potrà essere tranquillamente conclusa nel primo pomeriggio, riservando il tempo necessario ad una discesa rilassata fino al rifugio Scarpa-Gurekian e al paese sottostante, Frassenè. E’ consigliabile posizionare preventivamente un’auto a Frassenè, che si trova nella valle opposta rispetto alla Valle di San Lucano (punto di partenza), oppure utilizzare  l’autostop, ancora relativamente concesso dai valligiani locali.

Francesco Lamo lungo la parte superiore dello Spigolo nord. A fondovalle il torrente Tegnàs.

Dopo la conquista della parete nord est e del lungo spigolo, giunse il momento dello scomodo versante nord ovest. Nel luglio del 1939, tra violenti temporali e provvidenziali schiarite ed in un clima ancora di grande avventura romantica, il valtellinese Alfonso Vinci, in compagnia del fido Gianelia Bernasconi, riuscì a superare la parete, iniziando direttamente dal canalone tra Agnèr e Torre Armena e poi proseguendo per una logica linea di diedri, traversi e camini: saranno 1300 metri, davvero straordinari per l’epoca, su difficoltà fino al  VI. L’ambiente della “Vinci”, certamente più silenzioso e nascosto rispetto alla “Jori” o allo “Spigolo nord”, risulta essere stato comunque un po’ addolcito almeno nella sezione iniziale, in quanto viene considerato più comodo (anche se non meno faticoso) accedere alla parte mediana dell’itinerario dal Vallòn delle Scàndole e traversare lungo la banca della Torre Armena ed il tetro Van del Piz.

Alfonso Vinci, dopo le sue esperienze alpine (fu primo salitore anche dello spigolo sud-ovest del Cengalo), viaggiò in America latina alla ricerca di avventure e pietre preziose, insegnò botanica all’Università del Venezuela e fu autore di alcuni eleganti libri di montagna, di viaggi e di esplorazioni scientifiche.

Il fuoriclasse Riccardo Bee, uno tra i maggiori rappresentanti dell’Alpinismo bellunese di sempre, percorse per primo questa salita in solitaria nel 1980 mentre i fratelli De Donà ne realizzarono la prima invernale nel febbraio 1981. Due anni più tardi, lo specialista della Valle, Lorenzo Massarotto, si rese protagonista di una delle più affascinanti e romantiche imprese dolomitiche di ogni tempo: da solo e d’inverno superò la “Vinci” in giornata, ridiscese il giorno successivo ed immediatamente attaccò la parete nord della Torre Armena (via Dal Bianco-Claus), giungendo in vetta dopo un bivacco in parete.

Dopo l’eccezionale impresa di Iori e compagni, dovettero trascorrere alcuni decenni senza che venissero registrate nuove ascensioni sulla grande parete nord orientale.

Il problema della nord est dell’Agnèr, a sinistra della “Jori”, era visibile e manifesto a tutti, ma pochi avevano provato seriamente a decifrarlo. Ciò che imprimeva preoccupazione non erano tanto le difficoltà tecniche della parete, peraltro molto elevate, ma piuttosto le incertezze ed incognite complessive che quella muraglia di 1400 metri di dislivello poteva presentare: appariva come un salto nel buio.

Solo 46 anni dopo l’apertura della “Jori”, il 17 e 18 agosto 1967, si assistette ad una nuova ascensione su questo versante, ad opera dell’astro nascente Reinhold Messner accompagnato dal fratello Gunther e dall’amico Heini Holzer. La nuova via, che venne chiamata “dei Sudtirolesi” e che iniziava nei pressi di un grande masso posto vicino alla gola tra l’Agnèr e lo Spiz d’Agnèr sud, percorreva le placconate verso destra, evitando l’evidente colatoio-camino nero (lungo il quale passerà Riccardo Bee, da solo, nel marzo del 1980), proseguiva verticalmente fino quasi alla base del grande scudo giallo posto nella parte superiore della parete nord est, uscendo infine per i colatoi alla sua sinistra.

L’Agnèr invernale e il suo scudo. Foto di Ettore De Biasio.

Ivo Ferrari ne traccia un’azzeccatissima descrizione raccontando di “una via per gente abituata a proteggersi e a non proteggersi” dotati di ”buon fiato e buon fiuto, anche se una volta dentro risulta essere più logica di quanto si possa pensare!”.

La via “dei Sudtirolesi” è un itinerario grandioso e severo, su roccia a volte delicata e con l’uscita spesso bagnata. Per questi motivi e per l’impegno generale richiesto, pur non proponendo difficoltà tecniche elevatissime (VI e un tratto di A2), ogni anno registra sempre meno ripetitori, molto spesso nessuno.

Bruno De Donà (detto barèta) firmerà la prima solitaria nell’estate 1978 in sole 5 ore e senza nemmeno togliere la corda dalle spalle (complice una sfuriata con la fidanzata), i coriacei cecoslovacchi (Josef Raconkaj in testa) la percorreranno nel marzo del 1980, sfruttando il prezioso lavoro di pulizia dalla neve effettuato da Riccardo Bee nel corso di un suo visionario tentativo in solitaria invernale, della cui triste vicenda si impone una doverosa trattazione a parte.

L’anno successivo dell’apertura della “Messner-Holzer”, nel 1968, si annota una nuova realizzazione, da parte di un’équipe polacca, nella zona comprese tra la “Jori” e la “Sudtirolesi”. La “via dei Polacchi”, tuttavia, non è mai stata ripercorsa, quantomeno interamente, né mai chiaramente identificata nel suo tracciato e resta avvolta in una sorta di mistero.

La figura di Riccardo Bee si presenta assolutamente dominante nella storia alpinistica dell’Agnèr. Bee, ingegnere bellunese, era considerato, come detto in precedenza, uno dei più apprezzati scalatori dolomitici degli anni ’70 e ’80. In quegli anni, spesso in compagnia di Franco Miotto, realizzò una lunga serie di vie nuove, o comunque prime salite, di notevole spessore tecnico: dalle vie “dei bellunesi” allo Spiz di Lagunaz e alla est del Pizzocco (Alpi Feltrine) alla ”diretta sud-ovest” al Pelmo fino alle lunghissime vie sui versanti meridionali dell’abisso del Burèl (Schiara). Enorme, anche in termini di rischi affrontati, fu anche la sua prima solitaria invernale alla via “dei Polacchi” della Schiara (Gran Diedro Nord Ovest), un ambiente da incubo costituito da lame pericolanti grandi come autobus. Riccardo Bee praticava un alpinismo difficile che, oltre a rilevanti doti tecniche, richiedeva enorme coraggio e sacrifici. La sua resistenza in parete era risaputa e d’inverno indossava solo una tuta in flanella, una maglia di lana e una giacca anti vento. Celebri le sue calzature da arrampicata: le scarpe da ginnastica Tepa sport.

Oltre alla superba via, tracciata da solo nel 1980, che raddrizzò la via “dei Sudtirolesi”, è certamente il 1982 l’anno che vide Bee protagonista incontrastato sull’Agnèr, nella buona e nella cattiva sorte. In quella prodigiosa estate lo scalatore bellunese riuscì infatti a tracciare 3 nuovi itinerari lungo la parete nord ovest del Gigante. In ordine di impegno prima superò il canalone compreso tra Torre Armena e Agnèr (con F. Sponga, in alto marcia e verticale), poi da solo passò lungo il “Grande Diedro” della parete nord ovest (salita ancora irripetuta) ed infine realizzò la via che viene unanimemente considerata il suo capolavoro, il “Pilastro Centrale o Pilastro Bee”, un fantastico e logicissimo itinerario diretto alla parete nord ovest, che supera alla fine il pilastro che darà il nome alla via. Solo 18 anni più tardi il “Pilastro Bee” verrà ripreso da Ivo Ferrari e Mauro Chenet che lo giudicheranno ancora più difficile (VII e un breve tratto di A1) del celebre “Diedro Casarotto-Radin” allo Spiz di Lagunaz. Ivo racconta che “i capolavori di Riccardo Bee sono vie del passato per l’alpinismo del futuro”.

Nel 1980 Bee si confrontò da solo con la via “dei Sudtirolesi” sull’immensa parete nord est (che d’inverno letteralmente si corazza di neve e ghiaccio) per cinque lunghi giorni, ma, quasi sul finire dell’impresa, dovette desistere per le eccessive incrostazioni glaciali e rientrare con una ritirata che venne definita epica. Due anni più tardi (dicembre 1982), dopo aver dato appuntamento per la notte di capodanno ad alcuni amici al Rifugio Scarpa (che si trova lungo il sentiero di discesa) ripeté il favoloso ed avveniristico tentativo, ma una caduta mortale, verificatasi lungo la prima parte dell’itinerario, ne segnò la prematura scomparsa. L’Agnèr era la montagna più amata da Riccardo Bee.

Lorenzo Massarotto in contemplazione all’ambiente Jori e al grande scudo. Foto di Ettore De Biasio.

Nella storia alpinistica dell’Agnèr, al compianto Bee subentrò il padovano Lorenzo Massarotto, detto Mass. Lorenzo, nei primi anni ’80, aveva alle sue spalle già un’ammirabile attività alpinistica, costituita da solitarie ed invernali di massimo impegno. Come a Riccardo anche a Lorenzo piacevano le vie nuove in ambienti remoti e scomodi e senza eccessive forzature artificiali. Il Mass, in quegli anni, amava trascorrere lunghi periodi nella valle di San Lucano e riusciva a trovare la serenità anche solo con un quotidiano e una bottiglia di latte offerti da qualche amico. Con la montagna, e la natura in genere, che considerava parte integrante di se stesso, cercava il più profondo contatto spirituale.

A sinistra della “via dei Sudtirolesi”, la parete nord est dell’Agnèr assume “una particolare forma convessa e nasconde parte di essa a chi non le si avvicina”[2]. E’ il cosiddetto cuore dell’Agnèr, un settore di parete che non si riesce a vedere interamente dal fondo della valle di San Lucano. Fu Ettore De Biasio a reperire il compagno giusto del Mass per quella via “dagli strapiombi senza uscita”[3]: era il Sandro, “quello che non si lamentava mai e che non si poneva mai problemi, come quella volta sulla Vinatzer alla Marmolada a 16 anni, dove non sapeva bene dove andava…”, così lo ricorda Ettore. Lorenzo Massarotto e Sandro Soppelsa saliranno questa via nuova il 16 e 17 agosto 1981, tra traversate in mezzo a strapiombi spaventosi e levigate placconate, celebrando la nascita della via “del Cuore”, per un dislivello di 1200 m e difficoltà fino al VI+ e all’A2. Secondo Alessandro Gogna, “un capolavoro di arrampicata libera tra strapiombi dalla discesa impossibile” 3. Saranno i consueti cecoslovacchi (Jan Doubal e Stanislav Silhan), in missione alpinistica di comitiva, a ripetere d’inverno questo magico itinerario (1984) e l’habituè Ivo Ferrari, sempre più ostinato e contrario, a ripercorrerne il tracciato in solitaria il 26 agosto del 2000, in 12 ore.

Ivo Ferrari colto durante la solitaria alla via del Cuore. Foto di Ettore De Biasio

Dopo la via “del Cuore” il Mass, negli anni 1988 e 1989, esplorò intensamente il tratto di parete nord est compresa tra lo “Spigolo Nord” e la “Jori”. In totale tracciò 3 vie, in ordine da destra a sinistra: la “Massarotto-Costantini” nel 1988, la “Luciano Cergol” l’anno seguente e la “Dante Guzzo” ancora nel 1988. Si tratta di vie poco conosciute perché non pubblicizzate, secondo lo stile discreto del Mass. Sono salite molto lunghe (mediamente 25-28 tiri di corda) e su roccia buona, con difficoltà fino al VII obbligatorio e protetti solo da rarissimi chiodi e provvidenziali clessidre. Queste vie, inserite in un ambiente silenzioso e sempre severo, risultano essere scarsamente riprese e si annota solo una ripetizione della “Dante Guzzo”, a fine anni novanta, da parte dei locali Gianni Del Din e Daniele Costantini.

La nord-ovest, un tango…e l’ultima luce del tramonto. Foto Gabriele Canu.

Pochi anni più tardi (2003) Lorenzo Massarotto, in compagnia di Claudio Chenet, riuscì a scovare un nuovo itinerario nel tratto di parete compreso tra il “Pilastro Bee” (a destra) e la “Vinci” (a sinistra), evitando l’evidente e logico grande diedro-camino che delimita a sinistra il citato “Pilastro Bee”, perché grondante acqua.

Lorenzo morirà tragicamente nel 2005, colpito da un fulmine in cima alla Torre d’Emmele, nelle Piccole Dolomiti vicentine. Con la sua scomparsa se ne va uno dei più importanti e romantici solitari degli ultimi decenni nelle Alpi Orientali e la sua figura, per certi versi un po’ enigmatica e sfuggente, entrò nella leggenda del grande e classico alpinismo dolomitico.

Il Mass nel suo Agnèr. Foto di Ettore De Biasio.

Oltre alle grandi salite invernali alla via “dei Sudtirolesi” e alla via “del Cuore” nei primi anni ’80, l’alpinismo cecoslovacco fu protagonista sull’Agnèr anche nell’apertura di vie nuove. Miroslav e Michal Coubal, conosciuti anche per la difficilissima “Alpenrose” alla cima Grande di Lavaredo, dopo 4 anni di studio della parete nord est, piantarono la tenda nella valle di San Lucano. Il tempo non era ideale ed ogni pomeriggio pioveva, ma i due ragazzi dell’est trasudavano ottimismo.

Carichi di saccone, contenente 70 chiodi e tendina pensile, attaccarono decisi a sinistra della via “Jori”. Già durante i primi due giorni in parete affrontarono difficoltà fino al VII- e “morti di fatica”[4] bivaccarono su una cengia inaspettata e rinvenuta solo al buio. Il terzo giorno sovrastavano l’Agnèr pericolosi temporali e, per un tratto di 50 metri in parte strapiombante, furono necessarie 4 ore di sforzi. Alla sera del terzo giorno i due fratelli riuscirono ad entrare nella tendina pensile in extremis e poi fu un diluvio. Il quarto giorno, lungo un settore molto verticale caratterizzato da placche nere, superarono difficoltà fino al VIII-, assicurati solo da cordini appoggiati su piccoli spuntoni creati dallo scorrere dell’acqua. Sarà una fessura sottile a costituire la chiave per uscire dalla grande placca e, completamente fuori dalle difficoltà, bivaccarono ancora a 200 metri dalla vetta. Il quinto giorno giungeranno in vetta per questa dura via denominata “La storia infinita”.

Va detto che, ad avviso di chi scrive, qualsiasi nuovo percorso compreso tra la “Jori” e la “Messner-Holzer” trova la sua conclusione naturale nel superamento dell’enorme scudo giallo, posto nella parte superiore della parete, che anche “La Storia infinita” prudentemente evita. Ciò influisce quindi nella valutazione di questo itinerario, peraltro mai ripetuto, che risulta quindi non completamente ultimato, anche viste le notevoli difficoltà tecniche superate fino alla base del bordo destro dello scudo. Se la via dei fratelli Coubal avesse superato integralmente lo scudo giallo, di certo la valutazione complessiva sarebbe stata straordinaria. Chiaramente anche la via polacca non è indenne da questa personale visione, pur non conoscendo in modo particolareggiato il suo percorso.

Quasi in sosta dell’undicesima lunghezza di Tango per Marinella. Foto Ettore Alborghetti.

Come anticipato, uno dei sogni di Lorenzo Massarotto era costituito dal grande diedro-camino posto a sinistra del “Pilastro Bee”, ben visibile dal fondovalle. Il 19 agosto 2009 il bergamasco Ivo Ferrari in compagnia del solidissimo Renzo Corona e dell’amico Mauro Chenet bivaccarono sulla cengia della Torre Armena, sotto una miriade di stelle. Il mattino seguente Mauro rientrò a valle con i sacchi piuma e gli abiti fradici di sudore ed Ivo e Renzo si gettarono nell’avventura della parete nord ovest, rinvenendo un chiodo del Mass e piantandone, in alto, altri quattro. Il diedrone, osservato preventivamente dal basso, si rivelò asciutto e la roccia solidissima e ricca di appigli. “Tango per Marinella” fu il nome assegnato a questa logica linea, che ricorda la figlia di Ivo (Marinella) ed il generoso Mauro Chenet (Tango) e che risolve e completa la direttissima tentata dal Mass.

Sullo splendido diedro della terzultima lunghezza, ormai in vista della cima. Foto di Ettore Alborghetti.

L’itinerario sarà prontamente ripetuto dal savonese Gabriele Canu e dal bergamasco Ettore Alborghetti nell’agosto del 2011, che ne confermeranno il fascino e l’impegno.

L’Alpinismo del futuro sull’Agnèr dovrà scrupolosamente tenere in considerazione la storia delle sue pareti settentrionali e lo stile di chi per primo le ha salite e ci ha prematuramente lasciato: le ripide lavagne tra la Vinci e lo Spigolo Nord e il grande scudo giallo della parete nord est attendono ancora i primi salitori e transitare d’inverno sulle due nord è ancora affare per pochi. In particolare, la “traversata invernale di Lorenzo” è il grande viaggio futuristico che resta ancora da realizzare.

La severa nord ovest in pieno inverno. Foto di Ettore De Biasio.

L’avventura però può essere riscoperta, più semplicemente, anche ripetendo le poco conosciute vie del Mass, collocate tra le classiche “Jori” e “Spigolo nord”. Qui, ancora, lo spit è assente.

Il gigante Agnèr costituisce una delle montagne più singolari ed attraenti di tutte le Dolomiti e salire con rispetto su queste grandi e silenziose pareti permette ancora oggi di vivere un alpinismo di tipo classico e sognatore e di assaporare profonde emozioni.


[1] Ettore De Biasio. Pale di San Lucano. Luca Visentini Editore

[2]  Leopoldo Roman. Rivista del CAI settembre-ottobre 1986

[3] Alessandro Gogna. Sentieri Verticali. Zanichelli

[4] Miroslav e Michal Coubal. Monte Agnèr 1990. Le alpi venete 90-91

Bibliografia di riferimento per le salite: Paolo Mosca. Agnèr – Croda Granda. Edizioni Rocciaviva 2004

L’autore ringrazia per la cortesia, le informazioni tecniche e le immagini Gabriele Canu, Ettore Alborghetti, Walter Piva, Antonio Tazzoli, Ivo Ferrari e Sandro Penzo; gratitudine va anche a Elisa Ossari e Lorenzo De Sabbata per l’attenta revisione finale del testo.

Infine, un ringraziamento davvero speciale va a Ettore De Biasio, profondo conoscitore della Valle di San Lucano e delle sue montagne.

Pale di San Lucano e Agnèr nel mare dei sogni. Foto di Walter Piva.

 


Itinerari della parete nord est 

Avvicinamento: il punto di partenza è la valle di San Lucano (località I Chin) dove si segue un  ripido sentiero e si raggiunge il bivacco Enzo Cozzolino (1400 m), in circa 2 ore. Nel caso di avvicinamento allo Spigolo nord si segue lo stesso sentiero, ma non si raggiunge il bivacco: appena dopo il tratto attrezzato con corde, si esce dal bosco alla base della parete e un diedro erboso indica l’inizio della via.

La parete nord est. Foto di Ettore de Biasio.

  1. Cuore. Lorenzo Massarotto e Sandro Soppelsa, 16  e 17 agosto 1981, 1200 m, VI-VI+ e A2. Splendido itinerario, molto impegnativo e pochissimo ripetuto. In via sono presenti una quindicina di chiodi e qualche cuneo. Sale nella parte sinistra della parete nord est, nella zona convessa e, per questa peculiarità, la parete nasconde la sua parte superiore a chi non le si avvicina. Salita caratterizzata da lunghe traversate sotto a strapiombi che rendono molto difficoltoso un eventuale rientro a corda doppia.
  1. Messner-Holzer (o Sudtirolesi). Reinhold e Gunther Messner e Heini Holzer, 17 e 18 agosto 1967, 1400 m, VI, A2. Bellissima e davvero ambita salita, abbastanza ripetuta, ben più impegnativa della “Jori”. Sale prima lungamente verso destra, poi verticalmente per placconate e poi verso sinistra, fin quasi alla base del grande scudo giallo e strapiombante, da cui si prosegue lungo la serie di fessure alla sua sinistra. Questo ultima, impegnativa, sezione risulta spesso bagnata e può essere evitata salendo verso sinistra gli ultimi tiri della via del cuore. In questo modo però si evita la parte più caratteristica dell’itinerario. Sono presenti alcuni chiodi nei tratti più impegnativi.
  1. Bee. Riccardo Bee, marzo 1980, 850 m (oltre a 450 metri finali in comune con la Messner-Holzer), VI e A1. Via molto diretta, che permette di rettificare la Messner e che sale il caratteristico  colatoio nero posto a destra della grande macchia gialla inferiore della parete nord est. L’ultimo tratto è in comune con la Messner. Pochissimi chiodi in parete, non risultano ripetizioni.
  1. La storia infinita. Miroslav e Michal Coubal, 12-15 luglio 1990, 1350 m, VIII-. Salita estremamente impegnativa, continua nell’impegno richiesto e mai ripetuta, che percorre l’ampia parete compresa tra la Jori e la Messner-Holzer. Alcuni chiodi sono presenti sulle lunghezze più difficili, ma complessivamente la via risulta poco protetta. L’uscita avviene lungo placche verticali e nerastre poste a destra del grande e strapiombante scudo giallo. Secondo i primi salitori, il tratto chiave sembra proteggibile anche utilizzando alcuni spuntoni naturali. La roccia è complessivamente buona. Prevedere almeno 1 bivacco in parete. 
  1. Polacchi (non tracciata per mancanza di informazioni dettagliate). Riszard Zawadzki, Jarzi Brudny, Mavian Kata, Adam Traska e Kazimierz Liska, 1-3 agosto 1968. La via, mai ripetuta e di cui non si riesce a reperire relazione o notizie, percorre i grandi spazi tra la Jori e la Messner-Holzer, uscendo molto probabilmente a destra de La storia infinita. Gran parte della salita è stata percorsa da M. De Martin, S. Soppelsa e B. Schena nel 1987, che, nella parte superiore della parete, hanno continuato sulle impegnative placche a destra della Jori lungo una riga nera, con difficoltà fino al VII-.
  1. Jori. Francesco Iori, Arturo Andreoletti e Alberto Zanutti, 14 e 15 settembre 1921, 1500 m, V+. E’ la prima via tracciata sulle pareti settentrionali dell’Agnèr, lunghissima e ripetuta frequentemente. Sale il lungo sistema di colatoi e camini, molto evidente dal fondovalle, su roccia sempre buona. Mediamente sono necessarie almeno una decina di ore per completare la via e, a volte, si impone il bivacco. A metà percorso è possibile rendere più lineare e diretta  la salita seguendo la variante Buscaini-Metzeltin (difficoltà VI), che rende ben più impegnativa la scalata. Alcuni chiodi in parete.
  1. Dante Guzzo. Lorenzo Massarotto e Giovanni Groaz, settembre 1988, 1100 m, VII-. Itinerario che segue per 400 metri la Jori e poi continua lungo una serie di camini e supera un’evidente parete nera di circa 300 m di dislivello (tratto chiave della salita). Pochi chiodi in parete, ma possibilità di utilizzo di assicurazioni naturali nei tratti chiave.
  1. Luciano Cergol. Lorenzo Massarotto e G. Rebeschini, settembre 1989, 1500 m, VII-. Segue la via Massarotto-Costantini per circa 350 m per poi continuare alla sua sinistra lungo placconate impegnative e traversate tra gli strapiombi. Non si registrano ripetizioni.
  1. Massarotto-Costantini. Lorenzo Massarotto e Daniele Costantini, estate 1988 1100 m,V+. E’ l’ultima via a destra della parete nord est prima dello Spigolo nord, con cui è in comune negli ultimi 350 metri. Non risultano ripetizioni e probabilmente le difficoltà sono da rivalutare verso l’alto.
  1. Spigolo nord (Gilberti-Soravito). Celso Gilberti e Oscar Soravito, 29 agosto 1932, 1600 m, VI. Trattasi della più lunga via delle Dolomiti e nettamente della più frequentata e classica via dell’Agnèr. Sale lo zoccolo di mughi sul versante nord est per poi continuare appena a destra del lunghissimo spigolo N, nel versante nord ovest. La roccia è sempre buona e, nella parte superiore, ottima. La chiodatura è sicura e ci sono molte possibilità di utilizzare assicurazioni naturali. Circa a metà percorso è possibile bivaccare molto comodamente in una cengia con mughi, dove è anche presente un grande masso dove potersi riparare. Necessaria una buona scorta di acqua.

Itinerari della parete nord ovest

Avvicinamento alle salite della parete nord ovest: come per gli itinerari precedenti si segue il sentiero per il bivacco Cozzolino, ma alla base dello zoccolo dell’Agnèr (il sentiero si divide) si prende la traccia di destra, si sale alla Forcella del Còl Négher e si sale lungo il Valòn de le Scandòle. Con due lunghezze di corda (massimo IV+) si raggiunge la grande cengia sotto la parete settentrionale della Torre Armena. Si attraversa a sinistra la banca e, oltrepassando il Van del Piz, si raggiunge la parete nord ovest dell’Agnèr (1000 m di dislivello, 4 ore).

La parete nord ovest. Foto di Ettore De Biasio.

  1. Vinci-Bernasconi. Alfonso Vinci e Gianelia Bernasconi, 15-17 luglio 1939, 1300 m, V+ con passi fino al VI. Percorso storico, a volte ripetuto, che per primo violò la grandiosa parete nord ovest del Gigante. Consigliabile accedere alla via traversando lungo la banca sotto la parete nord della Torre Armena, ma così facendo si evita la parte bassa originale della Vinci e, in questo caso, il dislivello si riduce a circa 850 m. La via segue un lungo diedro, poi traversa a destra su placconate, quindi supera un camino e alcuni diedri (tratto chiave) che conducono alla banca appena sotto la cima. Qualche chiodo presente in parete nei tratti più difficili e su alcune soste.
  1. Massarotto-Chenet. Lorenzo Massarotto e Claudio Chenet, 13 agosto 2003, 750 m, VI. La via sale la colata nera a sinistra del Pilastro Bee e si sposta verso sinistra evitando il gran diedro-camino situato a sinistra del Pilastro, fino ad uscire dalla parete in prossimità dello spigolo nord. Non si conoscono ripetizioni. Pochissimi chiodi in parete.
  1. Tango per Marinella. Ivo Ferrari e Renzo Corona, 20 agosto 2009, 750 m, VI-VI+.   E’ l’ultima nuova salita realizzata sull’Agnèr e sale, completamente in arrampicata libera, tra la Massarotto-Chenet ed il Pilastro Bee lungo rocce solidissime fin sotto all’evidente camino-diedro (a sinistra del Pilastro Bee), per il quale direttamente si esce dalla parete. Attualmente sono presenti 8 chiodi totali e le soste sono quasi tutte da attrezzare, mediamente comode. Molto utili i friends ed è necessario osservare dal basso il caminone finale e verificare che sia asciutto.
  1. Pilastro Centrale o Pilastro Bee. Riccardo Bee, 19 e 20 luglio 1982, 750 m, VII e A1. E’ il capolavoro di Riccardo Bee, via grandiosa, giudicata più impegnativa della via del Cuore o della Casarotto-Radin allo Spiz di Lagunaz. Si sale sempre al centro di un pilastro giallo-grigio compreso tra due strisce di roccia nera fino a giungere sotto grandi strapiombi a 100 metri dalla cima, dove, traversando verso destra, si esce dalla parete. Pochissimi i chiodi in parete. Ripetuta da Ivo Ferrari e Mauro Chenet e successivamente da Nico Rizzotto, solo. Secondo i primi ripetitori trattasi probabilmente della via più bella dell’Agnèr.
  1. Gran Diedro Bee. Riccardo Bee, 5 settembre 1982, 500 m (più circa 300 della via Bee-Sponga), VI+. Probabilmente l’ultima via aperta da Riccardo, mai ripetuta. Ambiente estremamente austero e nascosto, quasi a ridosso della Torre Armena. La via parte dal canalone nord che separa le due cime (via Bee-Sponga) e, prima salendo verso sinistra e poi verso destra,  raggiunge la parete terminale e la grande cengia triangolare appena sotto la cima.

Nota: non sono stati tracciati gli itinerari del canalone nord compreso tra Agnèr e Torre armena (via Bee-Sponga) ed il canalone nord tra Agnèr e Spiz d’Agnèr sud (via De Col e compagni).

Discesa: dalla cima del Monte Agnèr si raggiunge il bivacco Biasin da cui un sentiero attrezzato porta alla base del versante meridionale dell’Agnèr e al rifugio Scarpa (2 ore), dal quale si scende per sentiero a Frassenè (ulteriori 45 minuti). Con auto, in circa 20 minuti, si rientra in valle di San Lucano (punto di partenza).

 


Grazie alla cortesia di Maurizio Oviglia per la pubblicazione di questo estratto dal n. 35, maggio-giugno 2012 di Vertical Magazine.

Francesco Lamo è dottore forestale e professionalmente si occupa di agricoltura ambientale e di agricoltura di montagna. Vive nella campagna padovana con Elisa, Francesca, Matilde e Kory, un simpatico Border collie che adora camminare per sentieri. Prima che di alpinismo, è soprattutto appassionato di montagna, in particolare quella bellunese e vicentina. Di passaggio sulla nord-ovest della Civetta, attraverso i percorsi meno difficili, ha scoperto la parete da sogno. Con Marco, Enrico, Raffaele, Walter, Ivo, Stefano, Cristiano, Michele e altri Amici ha trascorso giornate che non si dimenticano.

Le foto sono degli autori citati.

Alpine Sketches © 2012