L’Alpinismo? È la libertà di sbagliare
“Un bivacco imprevisto nella notte gelata: la vita non mi ha mai più donato un sapore così buono”. E dopo il ritorno da Auschwitz l’autore di “Se questo è un uomo” cerca una verifica in montagna da solo: “volevo dimostrare a me stesso che ero ancora capace”.
Incontro con Primo Levi
di Alberto Papuzzi
La salita alla Torre del Gran San Pietro per la cresta sud ovest prevede una variante, tuttora citata nella Guida del Gran Paradiso di Andreis, Chabod, Santi: la variante percorsa da Alessandro Delmastro, con la sorella Gabriella, l’11 luglio 1938. Delmastro è quel Sandro al quale Primo Levi ha dedicato il capitolo del ferro nel suo libro Il sistema periodico.
«Era un ragazzo di statura media, magro ma muscoloso, che neanche nei giorni più freddi portava mai il cappotto. Aveva grandi mani callose, un profilo ossuto e scabro, il viso cotto dal sole». Sandro, racconta Levi, sembrava fatto di ferro, ed è con lui che ha vissuto le più belle avventure di montagna e di arrampicata. Allora Primo Levi era uno studente di chimica, che il sabato e la domenica sgambava sulle cime del Gran Paradiso, d’inverno s’inzuppava di neve con gli sci, e nelle mezze stagioni si cimentava con le rocce dei Picchi del Pagliaio, dei Denti di Cumiana, di Rocca Patanüa, del Plü e della Sbarüa, palestre torinesi alcune diventate classiche altre ormai dimenticate, a quel tempo frequentate da pochi coraggiosi o stravaganti, in calzoni alla zuava e vecchi scarponi.
«Ho cominciato ad andare in montagna a 13, 14 anni – racconta Levi. Nella mia famiglia c’era la tradizione della montagna che fortifica, un po’ l’ambiente che Natalia Ginzburg descrive in Lessico famigliare. Non l’alpinismo propriamente detto, non le scalate … Si andava in montagna così, per il contatto con la natura… ». Gli capitò subito, dalla prima volta, una «negrigura», come avrebbe detto un altro Levi, appunto il padre di Natalia Ginzburg.
«Ero a Bardonecchia e avevamo deciso di fare un giro, io che avevo 14 anni, un mio coetaneo e un altro ragazzo che avendone sedici di anni si era autonomi nato guida. L’idea era di arrivare in Valle Stretta per la Catena dei Magi. Solo che partimmo di pomeriggio, senza mangiare, senza zaini. Arrivammo in cima che ormai faceva quasi buio; si vedeva sotto una discesa infida, e in fondo il lumino di un rifugio, non ricordo più il nome. Ci mettemmo a gridare, e venne su una squadra di alpinisti. Gridarono giù: son solo dei gagno brodos … Poi ci legarono come salami e ci calarono di notte, alla luce delle lanterne».
Le prime arrampicate verso i 18, 19 anni , per un desiderio di avventura ma anche di indipendenza, per provarcisi , per fare da sé: «Volevo andare in montagna sul serio, ma non con la guida». Un desiderio che si combinava col clima di allora, che era il clima del regime fascista, e per Levi, ebreo, delle leggi razziali.
Che cosa significava, dunque, andare ad arrampicare e andarci da solo, per quel giovane ebreo della Torino fine Anni ’30? «Era una forma assurda di ribellione – risponde Levi – Tu, fascista, mi discrimini, mi isoli , dici che sono uno che vale di meno, inferiore, unterer: ebbene, io ti dimostro che non è così. Mi ero subito promosso capocordata, senza esperienza, senza scuola: devo dire che l’imprudenza faceva parte del gioco.
La prima volta, da solo, fu all ‘Herbetet, per la cresta est. Neppure col CAI avevamo rapporti , nel nostro gruppo. Era un’istituzione fascista e noi eravamo antistituzionali: la montagna rappresentava proprio la libertà, una finestrella di libertà. Forse c’era anche, oscuramente, un bisogno di prepararsi agli eventi futuri ».
Questo del prepararsi , dice Levi, era chiarissimo in Sandro Delmastro. La sua era la montagna ruvida e proletaria. Era di famiglia antifascista, con un retroterra ideologico, mentre Levi era un bravo ragazzo borghese. Su ome sarebbe finita – cioè «a botte», per dirla con Levi – Delmastro non aveva dubbi. Gli ebrei borghesi, invece, si rifiutavano di guardare l’avvenire, prigionieri di un pacifismo pigro, anche pauroso. Delmastro diventa la proiezione a posteriori delle tensioni e degli ideali che allora Levi sentiva solo confusamente e che oggi invece vede con una lucidità astratta. E l’alpinismo di Delmastro, rivisto adesso, come in una muta sequenza al rallentatore, è la metafora viva di quella rappresentazione, con quel suo rifiuto delle comodità, delle mode, del consumismo, col suo essere «d’altri tempi già allora »
«Al Sestriere non s’andava mai, perché c’erano le funivie, e le funivie erano peggio del demonio! Niente giacche imbottite, niente scarpe nuove, la guida del CAI serviva solo per fare l’opposto di quanto consigliava. Anche l’attrezzatura era minima: mia sorella mi aveva regalato un martello, un paio di moschettoni e tre chiodi. Questa era tutta la mia attrezzatura. Bisognava invece arrivare sempre al limite delle nostre forze, sia fisiche sia tecniche. Ricordo una Pasqua, quando Daladier aveva risposto jamais a Mussolini. Voleva dire la guerra, ma noi non ci pensavamo. Partii con Delmastro e con Alberto Salmoni, a piedi di notte da Bard a Champorcher: il giorno dopo, con gli sci, e con 30 chili a testa negli zaini , dovevamo traversare fino alla cosiddetta Finestra di Champorcher, poi scendere, risalire la Valleille, raggiungere Piantonetto, puntare sul Gran Paradiso… Era un ‘idea di Delmastro, il quale più si faticava più era soddisfatto. Io rinunciai già a Cogne».
Era l’ideologia alpinistica di Lammer: lo sprezzo euforico del pericolo, la montagna come sofferenza. «Sì, anch’io avevo letto Lammer – dice Levi – Fontana di giovinezza, e anche Whymper e Mummery. Attraverso quelle pagine era pervenuta fino a noi l’idea di misurarsi sempre con l’estremo e che essenziale è fare sempre il massimo». Tuttavia, l’ideologia romantica conviveva con l’ideologia positivista. Le ragioni di Levi, ma anche di Delmastro, rispetto alla montagna, erano l’una e l’altra cosa insieme. Il romanticismo lammeriano era contaminato da un gusto laico per la montagna come oggetto scientifico, come luogo dove cercare di ravvisare il mondo alle sue origini. Sia Levi sia Delmastro avevano la passione della chimica. «Pensavo di trovare nella chimica – dice Levi – la risposta agli interrogativi che la filosofia lascia irrisolti. Cercavo un’immagine del mondo piuttosto che un mestiere. Ora, la passione della montagna era complice della passione per la chimica, nel senso di ritrovare in montagna gli elementi del sistema periodico, incastrati tra le rocce, incapsulati tra i ghiacci, e cercare di decifrare attraverso essi la natura della montagna, la sua struttura, il perché della forma di un canalino, la storia dell ‘architettura di un seracco. Una volta, ai Picchi del Pagliaio, Sandro si attacca a un appiglio cristallino che però gli rimane nelle mani. Me lo fa vedere senza scomporsi, dicendomi: si sfalda secondo 001, che è la terminologia delle operazioni stereografiche, poiché i cristalli si identificano dal loro modo di sfaldarsi.
Per cui la montagna per noi era anche esplorazione, il surrogato dei viaggi che non si potevano fare alla scoperta del mondo, e di noi stessi ; i viaggi raccontati nelle nostre letture: Melville, Conrad, Kipling, London. L’equivalente casalingo di quei viaggi era l’ Herbetet».
In montagna, Primo Levi ha continuato ad andare anche dopo la guerra, dopo il ritorno da Auschwitz, dopo aver scritto quel libro che è la più alta testimonianza letteraria della condizione umana di fronte alla violenza di uno sterminio di massa, Se questo è un uomo. Andava a camminare, o con gli sci ; non più ad arrampicare, salvo una volta che ha affrontato alcuni passaggi di terzo, da solo, su un versante della Testa Grigia, sopra Gressoney: «Volevo dimostrare a me stesso che ero ancora capace, anche se avevo ormai più di quarant’anni».
Ma le radici del suo rapporto con la montagna sono ben piantate in quella stagione più lontana: radici intellettuali di cittadino che cercava sulla montagna, nella montagna, suggestioni e risposte che non trovava nella vita, o meglio nell ‘atmosfera ispessita di quella vita torinese, senza passato e senza futuro. Con le generazioni precedenti, i Monti, i Mila, i Foa, non c’erano rapporti, come fosse caduto un netto colpo di falce, mentre l’avvenire era vestito dell’impenetrabile conformismo delle adunate oceaniche e del mito della razza. «Avevo anche provato a quel tempo a scrivere un racconto di montagna» ricorda ora Primo Levi, con una punta di divertimento. «Non l’ho mai finito, è rimasto inedito e tale resterà, perché tutto sommato è proprio molto brutto. C’era tutta l’epica della montagna, e la metafisica dell ‘alpinismo. La montagna come chiave di tutto. Volevo rappresentare la sensazione che si prova quando si sale avendo di fronte la linea della montagna che chiude l’orizzonte: tu sali , non vedi che questa linea, non vedi altro, poi improvvisamente la valichi , ti trovi dall’altra parte, e in pochi secondi vedi un mondo nuovo, sei in un mondo nuovo. Ecco, avevo cercato di esprimere questo: il valico. Poi avevo letto il racconto ai miei amici: valeva poco». Dopo 1’8 settembre 1943, il suo valico Primo Levi andò a cercarlo di nuovo in montagna, e non si trattava questa volta di metafisica, ma di schierarsi e di battersi. Come si usa, fu catturato quasi subito e rinchiuso in campo di concentramento. Il suo amico e compagno di cordata, Sandro Delmastro, fu il primo caduto del Comando militare piemontese del Partito d’azione, a Cuneo.
Una delle più belle avventure insieme era stato un bivacco in quota, in pieno inverno, con i piedi nei sacchi e «le scarpe talmente gelate che suonavano come campane». Come faremo a scendere? Aveva domandato Levi all’amico, quando sugli ultimi tratti di salita già calavano le ombre dell’oscurità. Per scendere vedremo, aveva risposto Delmastro, aggiungendo: il peggio che ci possa capitare è di assaggiare la carne dell’orso.
Era questa la carne dell ‘orso: il bivacco imprevisto, nella notte gelata. Rievocando l’episodio in una delle pagine più belle e commosse del Sistema periodico, Primo Levi scrive: «Ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino».
Sono state scritte e dette molte cose, moltissime, sul significato della montagna, dell ‘alpinismo, del l’arrampicata, ma niente di più semplice di queste parole: liberi anche di sbagliare e padroni del proprio destino.
…
intervista di Alberto Papuzzi
Rivista della Montagna n.61, marzo 1984
In questa intervista a Primo Levi alpinista, raccolta da Alberto Papuzzi per la Rivista della Montagna, il tema dell’alpinismo come simbolo di ribellione e libertà, anche quella di sbagliare, ci riporta al racconto Ferro da Il sistema periodico. È qui che Levi elabora la definizione “gustare la carne dell’orso” e la mette in bocca al protagonista del racconto, Sandro Delmastro, conosciuto tra i banchi dell’Università e nei lunghi pomeriggi trascorsi nel laboratorio di chimica, mentre fuori “era la notte dell’Europa”. Siamo nel marzo 1939, pochi mesi dopo avrà iniziò la seconda guerra mondiale.
Del fascino delle vette e della sua profonda passione per l’alpinismo Primo Levi parlò esplicitamente in una conversazione con Alberto Papuzzi realizzata nel 1966 e raccolta nel volume Primo Levi. Conversazioni e interviste 1963-1987, edito da Einaudi nel 1997.
La foto di copertina che ritrae il giovane Levi in compagnia di Alberto Salmoni è tratta da Il fascino della Geografia Umanistica e l’Umanesimo di Primo Levi pubblicata con l’autorizzazione del Direttore del Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino
Le altre foto sono tratte dall’articolo citato.
Alpine Sketches, 2013
Sono le foto di Levi o di Delmastro? Grazie molto.
Gentile Akiva Kenny Segan, la foto di copertina ritrae Primo Levi in compagnia di Alberto Salmoni. La prima fotografia dell’articolo si riferisce alla cordata Delmastro-Levi, le altre foto ritraggono Primo Levi da solo. Per andare incontro ai suoi problemi di lettura del testo, di contrasto e codifica dei font, conto di produrre a breve l’articolo in formato pdf. Cordiali saluti.
Questo sarà tradotto da Inglese tradurre google dot dot com, quindi potrebbe essere molto impreciso! Grazie per la risposta. Ti capita di sapere se ci sono le foto di Sandro Delmastro ovunque?
Quello che avete sulla vostra pagina di lui e Levi non è utile per me come il volto di Delmastro non si vede. (Forse ci sono alcune foto in collezioni museali, o con Delmastro discendenti della famiglia?) Sono molto interessato a disegnare lui per un’opera d’arte monumentale maggioranza come parte del mio Sotto le ali (Olocausto) arte serie. (Ho raffigurato Primo Levi in 2 opere che non fanno parte di quella serie, e anche Rita Rosani).
Nella serie sotto le ali che ho fatto disegni di Fiorella Anticoli, Eugenio Curiel, Leone Ginzburg.
Se riesco a trovare una buona foto di Delastro userò come materiale di base per la parte di disegno del mio prossimo grande opera a mosaico disegno combo. Grazie per info se avete.
in English: Thanks for your reply. Do you happen to know if there are any photos of Sandro Delmastro anywhere?
The one you have up on your page of he and Levi isn’t useful for me as Delmastro’s face isn’t seen. (Perhaps there are some photos in museum collections, or with Delmastro family descendants?) I am very interested to draw him for a major- monumental artwork as part of my Under the Wings (Holocaust) art series. (I’ve depicted Primo Levi in 2 artworks that aren’t part of that series; and also Rita Rosani).
In the Under the Wings series I’ve done drawings of Fiorella Anticoli, Eugenio Curiel, Leone Ginzburg.
If I can find a good photo of Delastro I will use it as source material for the drawing portion of my next major mosaic-drawing combo artwork. Thanks for info if you have.
P.S. the problem of the unreadable and inaccessible no-contrast type & font could be alleviated (fixed)if you were to make all the type high-contrast: black, throughout the text, such as you have with the title caption at top: L’Alpinismo? È la libertà di sbagliare
That would enable internet users who are older (e.g. born around 1984 and earlier years) to be able to read the text. Thanks~~
Italian: Post scriptum – il problema della illeggibili e inaccessibili tipo non-contrasto e tipo di carattere potrebbe essere alleviato (fisso) se si dovesse fare tutto il tipo ad alto contrasto: nero, tutto il testo, come ad esempio avete con la didascalia titolo in alto: L ‘alpinismo? E La Libertà di sbagliare
Ciò consente agli utenti di internet che sono più anziani (ad es nato intorno al 1984 e anni precedenti) per essere in grado di leggere il testo. Grazie ~~
L’ha ribloggato su La Lombardia e le Alpi.
Pingback: Ferro ‹ BANFF