Pensieri

di Buzz

A volte qualcuno mi chiede perché vado in montagna. Io, invariabilmente, non so rispondere altro che un beh, mi piace. Se l’interlocutore insiste pesco a caso nella vasta riserva di considerazioni precotte e in genere bastano quelle. Ma se la risposta volesse essere più articolata è difficile… perché sento che dovrei considerare le cose da più punti di vista. Soprattutto perché, quello che trovi, dipende da quello che cerchi; e a volte, lo trovi anche se non sapevi quello che stavi cercando.

A volte mi prende una necessità di solitudine che esclude gli altri quasi violentemente. Me ne vado in posti dove realmente non verrà nessuno e a far cose in cui l’essere solo è una forma di catarsi. Altre volte la solitudine è più una forma di autocommiserazione. Allora vado in posti in cui so che incontrerò qualcuno. Non cerco nessuno ma mi metto nelle condizioni di farmi trovare. Invece ci sono momenti in cui l’essere con gli altri è importante. L’emozioni vanno condivise. “La felicità non è reale se non è condivisa” scrive Chris McCandless “Supertramp” poco prima di morire in “Into the wild”.
Penso sia vero, ma non in senso assoluto. Come sempre le parole sono ambigue. La condivisione può anche arrivare dopo, a volte. Ma a parte questa considerazione è vero che alcune emozioni si rafforzano, acquistano valore e importanza se condivise. Ma anche il silenzio ha un valore. Si ascoltano i propri pensieri. Come si può ascoltare la propria voce interiore se si chiacchiera? Svogliato e impigrito. Apatico. Lunatico. Scontroso. Mi ritrovo quando non me lo aspettavo neppure. Semplicemente sto bene, e il tempo si ferma. Ecco, ho dormito in tenda, mi sono cucinato con il fornelletto le mie minestre in tetrapack, ho mangiato in piedi direttamente nella pentola dando anche un morso al pane e uno al formaggio appoggiati su un sasso; ho bevuto una birra e non ho bisogno di altro. Solo di stare li e di andare, il giorno dopo, a camminare, arrampicare… ovunque… non importa.

Mi piace la sensazione di partire all’ora in cui voglio, decidendo proprio all’ultimo istante la direzione in cui andrò, e momento per momento cosa fare. Mi piace sentire quella presenza a se stesso che provi quando devi curare con attenzione ogni movimento che fai perché sei fuori dai percorsi abituali della gente, una dimensione di cui abbiamo un po’ dimenticato il significato.

Mi piace passare senza lasciar traccia individuando un percorso possibile, su un prato scosceso come una parete verticale.

E forse tutto ciò mi piacerebbe condividerlo. Ma forse la mia necessità di condivisione non è rivolta realmente ad un altro, diverso da me, quanto invece ad una proiezione di me stesso. Un qualcuno ideale che mi accompagni nei miei capricciosi balzi d’umore, cambiando percorso a seconda del sole o vento, in senso letterale. E allora lo condivido scrivendo.

Ma tutta questa libertà intossica. Paradossalmente questo tipo di libertà rende schiavi ed esige il sacrificio di ciò che è più complesso da costruire. E’ in un certo qual modo l’avvicinarsi ad uno stato animale di non programmazione. E’ essere, semplicemente, a seconda degli stati d’animo. Rifiutando il dover essere in relazione ad uno scopo.

E allora, se trovo compagni di strada sono felice di condividere con loro il mio tempo e i miei pensieri. Qualche volta. E ho i miei compagni preferiti. Quelli con cui mi trovo bene e di cui mi fido. Ma la condizione indispensabile è il sentirsi liberi. Per me, ma anche per loro. Se ci siamo trovati.

Ma se mi chiedete di spiegare perché scalo le montagne, vuol dire che non potreste mai capire la risposta. (Pete Boardman)