Le mie mani
di Roberto Jann Hill Iannilli
“Ma lei che mestiere fa?” mi dice il chirurgo della mano che sta osservando le radiografie della mia destra.
“L’architetto!” rispondo intuendo dove vuole andare a parare.
“Queste sono mani da vecchio muratore o contadino, non di uno che disegna e progetta. Mi dica la verità!”
“Queste sono mani di uno che arrampica da tanti anni”.
Le mie mani sono due attrezzi specifici per la scalata. Servono anche a molte altre cose, ma tirare gli appigli è il lavoro che fanno abitualmente e si vede. Le mie mani sanno disegnare, scrivere, carezzare, usare utensili, ma sono quello che sono in conseguenza dell’ arrampicata. Non hanno un bell’aspetto, nodose, callose, con le unghie corte, ma vanno bene così. Sono mani che hanno toccato tanta roccia in molti posti diversi, mani che mi hanno permesso di arrivare in vetta innumerevoli volte.
Le mie mani non sono in piena forma, oltre ai segni dovuti ai milioni di appigli tirati e alle migliaia di chiodi martellati, portano le tracce di diverse fratture. La povera destra l’ ho rotta quattro volte. Ho iniziato nel settantanove con un incidente di auto e poi ci ho dato sotto con quelli di montagna.
“Ma lo sa che lei dovrebbe fare degli accertamenti su queste mani? Potrebbe esserci artrosi” continua il dottore della mano.
“Trenta anni di arrampicata si vedono, ma finché tengono gli appigli non mi lamento”.
“La sua destra ha i legamenti e le capsule articolari danneggiate, le cicatrici interne si sono rimarginate ma hanno fatto molte aderenze e si stanno formando delle calcificazioni. Occorre molta fisioterapia ed esercizio. L’arrampicata va bene, ma senza sforzi, non ne ha due di riserva”.
Il luminare mi fa osservare che forse sarebbe meglio mettere a riposo le mie mani, fargli fare lavori meno stressanti, sono vecchie e stanche ormai.
“Va bene dottore, cercherò di fare arrampicata facile” mento spudoratamente.
Le mie mani le porto in giro con orgoglio, anche gli altri capiscono che sono particolari, non comuni mani. A volte li vedo che le osservano mentre gesticolo, sono espressive e aiutano a capire. Di mio sono un poco timido, sono loro la parte comunicativa.
“Ma tu arrampichi, vero?” mi disse Giuseppe.
“Si, da che lo hai capito?”
“Porti spesso la maglietta del rifugio e ho notato le tue mani, si vede che le usi molto. All’ inizio pensavo avessi una malattia della pelle, erano sempre piene di ferite. Dopo ho compreso”.
“In fessura spesso occorre incastrarle e poi ci sono le martellate per mettere e togliere i chiodi, ogni tanto sbaglio mira e sbatto le nocche contro la roccia, ferendole”.
Sono fiero delle mie mani, mi piace osservarle a lavoro. Le apro e le chiudo e si vede che sono salde, stringono forte, non esitano mai.
“Robbè, apri la macchinetta del caffè, solo tu puoi farcela”.
Come mio padre. Anche lui aveva due mani speciali, le sue sembravano badili ed erano due mani di operaio vero. Le ricordo quando mi strinsero perché andavo militare tanto lontano da casa, le mani più buone e forti della terra. Dissi dentro di me: “Da grande voglio anch’io due mani così, trasmettono meglio l’ amore”.
Quando Patrizia ed io ci sposammo mettemmo le fedi nuziali, io ereditai quella di mio padre, ristretta per essere adatta al mio anulare di allora. Sia Pat che io la mattina successiva le abbiamo riposte nel cassetto, non ne avevamo bisogno. Oggi quella fede dovrei riallargarla, non entra che nel mignolo.
C’ho lavorato sodo ma alla fine anche le mie sono diventate buone mani e credo sappiano comunicare amore abbastanza bene. Nonostante siano robuste riescono ad essere delicate nel trasmetterlo.
Mi piacciono le mie mani, sono mani di alpinista.
…………………
Proprio oggi Roberto Iannilli ci ha lasciati. In cordata con Luca D’Andrea stava tentando una via nuova sulla parete nord del Monte Camicia.
Forse un sasso, chissà. I loro corpi, ancora legati, sono stati recuperati alla base di quell’enorme parete, nel Fondo della Salsa.
Roberto aveva 62 anni. Alpinista molto esperto è stato sicuramente uno degli alpinisti più rappresentativi del Gran Sasso.
21 luglio 2016
Alpine Sketches @ 2016
Stefano, un dispiacere grande come le montagne che scalava. Non posso pensare a Patrizia e alla loro forte intesa, che ha permesso a lui di diventare e di agire per quello che ha sempre sognato, uno scalatore sulla Montagna, alla ricerca della soddisfazione della sua passione. Il suo essere schivo ci ha comunque permesso di apprezzarne la sua costanza, la sua bravura, il suo continuo cercare e soddisfare la scoperta, nelle montagne di casa, così come all’estero. Chi ha dentro questa passione difficilmente riesce ad esprimere ciò che vuole e perchè lo fa. I motivi sono grandi più del pensiero, e la sua arrampicata lo dimostra: grandi motivazioni per un uomo grande.
E’ scomparso un pezzo di Storia della nostra Montagna.
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Anch’io ho una specie di amore per le mani, non per le mie, ma di chi mi sta di fronte. Occhi e mani dicono più di moltissime parole.
Roberto ci mancherà anche per i suoi scritti.
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