Brenva I
di Davide Scaricabarozzi
La parete della Brenva è un’icona del versante meridionale del Monte Bianco.
Diversamente dagli altri due bacini alpinisticamente altrettanto conosciuti, Brouillard e Freney, ma decisamente più distanti dal fondo valle a forse per questo meno evidenti, la Brenva s’impone con prepotenza a chiunque volga lo sguardo in direzione del Monte Bianco.
La parete della Brenva, dal patois larice, prende il nome dal ghiacciaio omonimo che un tempo lambiva i pascoli del fondovalle, oggi il suo fronte coperto di detriti occupa l’intero imbocco della Val Veni.
E’ un versante imponente, dalle caratteristiche Himalayane per dislivello e morfologia, prevalentemente di ghiaccio, caratterizzato da tre contrafforti principali in parte rocciosi separati tra loro da ripidissimi colatoi e gigantesche serracate. Su questa straordinaria parete, alta fino a 1400m e ancor più larga, sono tracciate alcune vie tra le più belle e prestigiose delle Alpi, tutte serie, lunghe e impegnative.
E’ una parete pericolosa, importanti crolli di seracchi e scariche di sassi sono all’ordine del giorno, qualsiasi itinerario si voglia percorrere è necessario partire presto la notte per essere fuori dal tiro delle scariche al sorgere del sole, non va dimenticato che la parete è orientata a est.
Le difficoltà tecniche non sono elevatissime, ma il tipo di terreno sul quale ci si muove, il dislivello notevole e l’importanza di osservare scrupolosamente l’orario, impongono ad una cordata una progressione quanto più di conserva possibile.
E’ il regno del misto, dove la velocità e il senso della montagna sono sinonimo di sicurezza.
Fino alla seconda metà degli anni ’80 era facile trovare decine di cordate impegnate sullo Sperone della Brenva, più difficilmente sulle altre vie.
Dopo la grande frana del 1997, che sconvolse tutto il primo terzo dello Sperone della Brenva e precludendo l’accesso gli attacchi della Sentinella Rossa e della Major, questo versante non è più così frequentato, tutto è diventato più laborioso e questa situazione scoraggia molti alpinisti.
Le ripetizioni della Major o della Sentinella Rossa sono pochissime, la via della Pera (i più la conoscono come Poire….) praticamente non è quasi più ripetuta.
Negli ultimi anni questo versante è tornato ad essere relativamente frequentato in virtù del fatto che la zona instabile lasciata dalla frana si è parzialmente assestata.
Lo Sperone è regolarmente percorso per la variante Gussfeldt e sia la Sentinella che la Major contano qualche ripetizione estiva.
Su questa parete sono state scritte le pagine tra le più importanti dell’alpinismo classico occidentale.
LA VIA MOORE AL COL DE LA BRENVA
Lo Sperone della Brenva
Il 14 luglio 1865 Edward Whymper conquista il Cervino; negli stessi istanti in cui raggiunge la vetta, ad un centinaio di km di distanza, un gruppo di alpinisti inglesi sta risalendo faticosamente gli scoscendimenti al piede del Monte Bianco che da Entreves portano al ghiacciaio della Brenva.
Si tratta di A.W. Moore, G.S. Mathews, F. e H. Walker (quest’ultimo assieme a Melchior Andregg salirà le Grandes Jorasses nel 1868), accompagnati dalle leggendarie guide Jakob e Melchior Andregg di Grimsel con due portatori.
Non sono nuovi del massiccio, sono già diversi anni che esplorano il versante meridionale del Monte Bianco.
Tempo prima A.W.Moore, dalla cima del Mont Crammont, aveva studiato attentamente la parete individuando il suo punto debole in corrispondenza dell’evidente sperone destro; l’itinerario da seguire era evidentissimo e appariva abbastanza sicuro, l’unica incognita era rappresentata dalla barriera di seracchi all’uscita della via, appena sotto il Mur de la Cote. Valeva quindi la pena di tentare, la motivazione era fortissima: non esisteva ancora una via che portasse in vetta al Monte Bianco direttamente da Courmayeur.
Nel tardo pomeriggio raggiungono le rocce che oggi ospitano il Bivacco della Brenva e congedano i portatori.
Dopo un breve riposo in piena notte si mettono in marcia e, risalendo con difficoltà il crepacciatissimo ghiacciaio della Brenva, raggiungono col sole già alto un modesto colle (l’odierno Col Moore) ai piedi della colossale parete.
Scalano uno spigolo di rocce ripide superando un difficile camino e raggiungono la sommità del contrafforte che sostiene il lungo pendio
L’ambiente che li circonda è selvaggio, anche i due Andregg avezzi all’ambiente rimangono colpiti dalla grandiosità di questo versante.
Per raggiungere il pendio devono superare una sottilissima crestina di neve dall’aspetto decisamente scoraggiante; sulla destra un ripidissimo imbuto ghiacciato precipita vertiginoso per svariate centinaia di metri (la coluoire Gussfeldt), a sinistra le cose non sono tanto diverse: il toboga di ghiaccio è sostituito da un ginepraio di rocce e canali altrettanto ripidi.
Melchior Andregg non si perde d’animo, cavalca letteralmente la crestina menando dei gran fendenti con la piccozza e raggiunge dopo una ventina di metri il pendio nevoso.
Assicurati dalla forte guida tutti i membri della cordata raggiungono un terreno più favorevole.
La pendenza è intorno ai 45° e il pendio è a tratti ghiacciato, all’epoca non si usavano i ramponi e le due instancabili Guide intagliarono migliaia di gradini nel ghiaccio a beneficio dei loro clienti.
La serracata incombe sulle loro teste come una spada di Damocle non fosse altro che per la terribile incognita che rappresenta. La salita è faticosa e il pendio molto lungo, interrotto spesso da crepacci, sembra non finire mai.
Melchior punta direttamente ad un affioramento roccioso che sembra sostenere la cascata di ghiaccio: è la chiave di volta della salita.
Tutt’attorno lo sguardo può solo posarsi su muri verticali di ghiaccio bianchissimo, durissimo, è impensabile forzare l’uscita direttamente verso la cima del Bianco.
La situazione si fa difficile, è mezzogiorno, alcuni enormi blocchi di ghiaccio si staccano da qualche parte provocando un cupo boato, bisogna assolutamente togliersi da lì.
Guardando in direzione del Col de La Brenva Melchior intuisce una via di fuga, una specie di cengia fortemente inclinata, interrotta da brevi muri di ghiaccio, consente di traversare lungamente sotto la barriera di seracchi.
Non perdono ulteriore tempo, con un’azzardata manovra si calano dall’isolotto roccioso raggiungendo la zona meno ripida ma sempre ghiacciata, le cose migliorano, la traversata per quanto esposta è abbastanza agevole.
Alle 15.10, superando un’esile cornice, sbucano al Col de la Brenva, appena sotto il Mur de la Cote.
Non salgono fino in cima al Monte Bianco, ma scendono immediatamente verso Chamonix dove giungono alle22.30dopo 20 ore di marcia continua.
Il 15 luglio 1865 la prima via sul versante meridionale del Monte Bianco era stata percorsa.
Postilla di carattere puramente storico:
Esiste un documento pubblicato dall’Abate Henry (storico prelato di Courmayeur e cronista delle prime ascese al Monte Bianco) redatto dal capo guida Alexis Clusaz datato 1868 e intitolato “Primo arruolamento delle guide di Courmayeur”, dove si legge la cronaca di una salita fatta per il canale della Brenva verso l’omonimo colle (quindi anch’essa sul versante di Courmayeur) , nei giorni 27/28 settembre 1854. In realtà si pensa che questa salita non sia mai avvenuta………..una sorta di bufala alpinistica ante litteram…..
IL TRITTICO DELLA BRENVA
Sentinella Rossa, Major, Pera
Sono sempre gli inglesi i protagonisti su questa parete, questa volta si tratta di due “senza guida”: T.Graham Brown e Frank Smythe, gran rivale di Brown. Fedeli al detto ”se non puoi combattere il nemico alleati con lui”, i due fecero cordata e risolsero brillantemente quasi tutto il risolvibile all’epoca sulla parete della Brenva; ossia salironoLa Sentinella Rossa (vedi 2), La via della seconda Sentinella al Col Major (conosciuta come Major, vedi 3), mentre la temibile Via della Pera (in italiano! Vedi 4) venne salita da T.G.Brown con la fortissima Guida Alexander Graven e Alfred Aufdenblatten.
Queste tre vie vengono appunto chiamate “Il Trittico della Brenva”, ancor oggi non sono molti gli alpinisti che nel loro curriculum possono annoverarlo .
Nell’agosto del 1978 Marc Batard in una notte sale la Major, scende dalla Sentinella Rossa, risale lo Sperone della Brenva e alle 7 è all’Aig.du Midì a bere il caffè con il personale della prima funivia…..
La Sentinella rossa
Sono passati più di sessant’anni dalla salita di Moore & C. lungo lo Sperone e questa è rimasta la sola via aperta sul versante est della montagna.
L’aspetto ciclopico della parete, le continue cadute di seracchi e di valanghe avevano tenuto lontano anche gli alpinisti più determinati.
Inoltre bisogna fare una considerazione di ordine “storico” riguardante la mentalità tipicamente “occidentalista” del momento: all’epoca si ricercava la salita di un “picco vergine”, non esisteva la ricerca della via diretta o della difficoltà fine a se stessa, quello che più contava era raggiungere la vetta nel modo più semplice possibile salendo dal versante prefissato e su questa parete ci aveva già pensato Moore .
Basta quindi guardare la parete della Brenva per rendersi conto che di facile non c’era un bel nulla.
Brown è una specie di “talebano” della montagna.
Piccolo e tarchiato è in possesso di una forza di volontà e di una determinazione fuori dal comune.
Brown e Smythe erano attratti dall’elegante sperone di misto alla sinistra del gran canale centrale (appuntola Major), ma la barriera di seracchi che faceva da cappello all’importante ultimo risalto roccioso costituiva un’incognita terribile; non era ancora il momento.
Il primo settembre del 1927 i due salgono in cima alla Tour Ronde, sicuramente il miglior belvedere sull’intero bacino della Brenva, per individuare una linea di salita diretta alla cima del Monte Bianco che allo stesso tempo consentisse loro di osservare più da vicino il temuto cappello di seracchi della futura Major.
Osservano piuttosto scoraggiati le continue scariche di ghiaccio che costantemente spazzano il canale e parte dell’intera parete.
Con un’intuizione geniale disegnano una via di salita tra le più eleganti in assoluto dove paradossalmente ci si deve insinuare tra le difficoltà per evitarle.
Una linea elegantissima, indubbiamente astuta e relativamente sicura, per quanto lo possa essere una via su una parete tanto complessa come questa.
I due non perdono tempo e partono all’attacco della loro via immediatamente andando a bivaccare sotto un monolito alto qualche decina di metri che chiameranno appuntola SentinellaRossa, l’unica protezione dalle valanghe e dalle cadute di pietre.
All’alba, davvero tardi, lasciano il loro “fortino” per cominciare la salita dell’itinerario forse più elegante di tutta la parete. Salgono un lungo tratto di misto, non molto impegnativo ma decisamente esposto all’eventuale caduta di ghiaccio dal seracco sommitale che incombe. Quindi si risolvono ad attraversare il ramo destro del grande canale centrale sul quale si riversano tutte le scariche del seracco. E’ un momento delicatissimo, il pendio è molto erto e ghiacciato. Smythe intaglia gradini come un forsennato, tanto che Brown fatica a stargli appresso.
Dopo questa traversata al cardiopalma raggiungono una zona molto ripida a prevalenza rocciosa: l’Escalier. Le rocce prossime alla verticale sono per sovrapprezzo ghiacciate, per fortuna piuttosto rotte e consentono una progressione abbastanza rapida e sicura. Decidono di fare una sosta, sono le11.30(!!), il sole ha provveduto a scaldare la parete e imponenti scariche di ghiaccio spazzano il canale che avevano attraversato qualche ora prima. Mangiano un boccone e lasciano i loro biglietti da visita in una scatola di metallo,,,,,non senza aver costruito prima un ometto….Si rimettono in marcia, le difficoltà non accennano affatto a diminuire, anzi il pendio diventa sempre più ripido, le rocce lasciano il terreno ad un ghiaccio liscio e durissimo che costringe nuovamente ad un lungo ed estenuante taglio di gradini, fortunatamente le condizioni del pendio migliorano, una neve dura e compatta consente ai due di uscire dalla parete senza più patemi d’animo. Sono le15.30 del2 settembre 1927, un’ora più tardi Brown e Smythe si stringono la mano sulla cima del Monte Bianco.
La Major
Durante la salita della Sentinella Rossa, Brown e Smythe hanno avuto modo di osservare da vicino il loro progetto principale:la Secondavia della Sentinella al Col Major.
Questo colle è la sottile cresta nevosa lunga mezzo kilometro che collega il Monte Bianco di Courmayeur (4769m) con la vetta vera e propria.
Farrar definì questo colle come il valico più scomodo e inutile tra Italia e Francia.
Chiunque osservi la parete della Brenva non può fare a meno di pensare a questo pronunciato sperone come alla via più logica della parete.
Il6 agosto 1928 alle8.15Brown e Smythe lasciano il rif. Torino, con viveri per tre giorni e materiale da bivacco. La loro meta è il monolito chiamato Sentinella Rossa, l’unico luogo in tutta la parete dove poter restare al riparo dalle scariche.
All’epoca non esisteva il bivacco della Fourche o il Ghiglione, quindi per raggiungere l’alto bacino del ghiacciaio della Brenva o il Col Moore si passava attraversando il versante sud-ovest della Tour Ronde valicando il Col d’Entreves. Un percorso sicuro ma decisamente lungo, nel loro caso reso ancor più duro dai pesantissimi sacchi .
Nel tardo pomeriggio raggiungono la Sentinella dopo aver traversato una rigola spaventosa sotto un costante bombardamento di pietre; è impensabile ai nostri giorni intraprendere una simile strategia, davvero questi uomini, oltre che avere una forza straordinaria, erano accompagnati da una fortuna di pari proporzioni……
Alle 5 del mattino seguente, dopo aver abbandonato buona parte dei viveri per alleggerire gli zaini, riprendono la salita.
Il primo ostacolo è l’attraversamento del grande canale centrale largo in quel punto una quarantina di metri, piuttosto ripido e con una rigola ghiacciata profonda diversi metri nella quale scende senza posa una lavina di neve portata dal forte vento che sta soffiando in cresta. Brown, nel suo libro “Brenva” , scrive che in questo tratto gli sembra di attraversare una cascata di spuma.
L’ostacolo è superato piuttosto velocemente data la sua estrema pericolosità; la via prosegue con tratti di misto decisamente impegnativi e creste di neve affilate e tecniche da gradinare.
Alle 17 un secondo bivacco pare inevitabile, la cordata si trova sotto l’ultimo e più importante salto di roccia che non ha l’aria di farsi salire facilmente.
Non è facile nemmeno intuire quale possa essere la via migliore per superare l’ostacolo, la roccia è ovunque ripidissima e compatta, le fessure e i camini hanno un aspetto scoraggiante.
Smythe si sposta verso il lato nord del salto, le rocce sono coperte di vetrato e la progressione è lentissima.
Tre quarti d’ora più tardi sono in cima al contrafforte roccioso dove li attende una graditissima sorpresa: il temuto muro di seracchi non è altro che un pendio di ghiaccio nemmeno troppo ripido lungo una trentina di metri, una condizione eccezionale, che raramente si trova anche ai nostri giorni.
Salgono direttamente verso il Monte Bianco di Courmayeur dove giungono alle19.45sotto una sferza di gelido vento da nord.
Alle 21.00 entrano nella capanna Vallot con i vestiti completamente ghiacciati.
La Pera
Dopo la performance della Major, Brown non pensa altro che terminare il trittico che si era idealizzato, ossia salire l’itinerario più repulsivo dell’intero versante: la via della Pera, chiamata così in italiano dallo stesso Brown.
Molti la chiamano in francese Poire, già ci hanno fregato la cima del Monte Bianco..che ci lascino almeno la Pera…..
Il nome deriva dalla tipica forma dello sperone roccioso incassato tra due muri di ghiaccio impressionanti che caratterizza la prima metà della via.
Non è un bel posto, a differenza della Major che si sviluppa su un contrafforte ben definito, la Pera è rinserrata sul margine sinistro della parete, arcigna e decisamente poco accattivante.
Questo impatto estetico non scoraggia assolutamente Brown e contatta il suo compagno Smythe per partire alla volta della nuova prima, è l’estate del 1929.
Smythe questa volta declina l’invito sostenendo che gli avrebbe preferito andare all’Aig. d’Argentiere. Brown è senza compagno, si reca a Courmayeur dove incontra Alexander Graven, la famosissima guida di Zermatt .
Questo incontro fu per Brown una vera fortuna.
Le stagioni estive 1930-31-32 videro Brown, Graven e Knubel formare una cordata di punta che salì di tutto in tutto l’arco alpino.
Graven voleva accertarsi delle capacità del suo cliente prima di cimentarsi con una via dura come pareva essere la Pera, inoltre le estati trascorse erano state pessime e non avrebbero consentito di tentare la salita dell’ultima via del Trittico.
Il 5 agosto 1933 amezzanottee venti, T.G. Brown con le sue guide Alexander Graven e Alfred Aufdenblatten lasciano il rif. Torino in direzione del Col Moore.
La notte è chiara, in poche ore raggiungono il colle e cominciano a traversare sotto la larga parete della Brenva. Una teoria infinita di colatoi più o meno ripidi ma tutti rigorosamente ghiacciati li separa dall’attacco vero e proprio
Graven taglia gradini nel ghiaccio come una macchina, Brown ha il suo bel daffare a stargli dietro, alle 5.30 hanno già raggiunto la base del nucleo roccioso che dà il nome alla via.
Le cose si fanno decisamente difficili, ma non così tanto da rallentare l’andatura forsennata di Graven che scala placche e camini di gran carriera e senza un attimo di sosta.
Ora il cielo è chiaro Brown e Aufdenblatten suggeriscono di fermarsi a fare una breve colazione, la cengia che li ospita è comoda e abbastanza larga.
Graven non ci sente affatto e fa notare il grave pericolo a cui andrebbero ad esporsi, la cengia è come un perfetto bersaglio alla caduta di ghiaccio dei seracchi che rinserrano la Pera, per cui niente da fare, avanti!
A un certo punto Graven si ferma, a sinistra le rocce sono più facili ma distano pochi metri da un’immane cascata di ghiaccio, a destra decisamente più difficili e innevate, in compenso più sicure.
Graven non ha dubbi, traversa 40 m a dx, chiama gli altri due e prosegue rispostandosi sensibilmente a sinistra, quindi si ferma ancora di fronte a un camino ingombro di ghiaccio.
Rimane diversi minuti in silenzio e senza progredire di un solo metro, dopodichè sentenzia che per lui la Pera finisce lì.
Brown, che non è certo un tipo particolarmente malleabile, gli suggerisce con una certa insistenza indubbiamente poco anglosassone, di traversare ancora a sinistra e lasciar perdere il camino, il cliente ha sempre ragione, Graven ci prova ed è la soluzione giusta; una placca innevata ma più semplice conduce sotto un altro camino dall’aspetto migliore.
La salita può così continuare e alle 8.30 Graven raggiunge il “picciolo” della Pera, a questo punto confida a Brown che la tensione nervosa era stata talmente forte da impedirgli di vedere la soluzione migliore al camino ghiacciato.
Bisogna considerare che non avevano con nessun mezzo artificiale per forzare un “mauvais pas”, nessun chiodo, friends e nuts non esistevano.
Raggiungono e scalano di passaggio una bella guglia chiamata “Belle etoile” e assistono ad una grossa frana di sassi proveniente dal Monte Bianco di Courmayeur spazzare il canale che intendevano salire, allora forzano dei seracchi poco pronunciati e puntano direttamente al Col Major, naturalmente non sarebbe stato elegante uscire da una nuova via su un colle, quindi piegano ancora verso il Monte Bianco di Courmayeur, restando a debita distanza dal canale spazzato dai sassi, dove giungono alle13.20.
In breve raggiungono la vetta massima e Brown è preso da un parossismo “alpinistico”, propone di scendere per la cresta di Peutery.
Quindi ritornano al Monte Bianco di Courmayeur (!!) e cominciano a scendere lungo il vertiginoso pendio ma, fatti pochi metri, compare il ghiaccio vivo nascosto da un infido strato di neve polverosa e, con gran sollievo per Graven, Brown propone di rinunciare.
Tornano nuovamente in cima al Monte Bianco e scendono alla Vallot, qui si fermano per una breve sosta e alle 17.00 giù di nuovo alla volta della capanna del Dome (rif. Gonella) dove si fermano per cena.
Per digerire il lauto pasto (!!) decidono di scendere fino a Courmayeur dove giungono alle due di notte.
In sostanza il circuito rif. Torino-Monte Bianco-Courmayeur ha comportato 26 ore di marcia continua, davvero una bella performance.
Davide Scaricabarozzi
altri articoli dell’autore in questo blog
Brenva II
Charmoz e Grèpon
Pingback: Aiguilles des Grands Charmoz e du Grépon | Alpine Sketches
Pingback: Brenva II | Alpine Sketches